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Il regno d'inverno

 

Sonno d’inverno o regno d’inverno?
Dinamiche umane nell’immobilità del tempo

Aydin, che da aspirante attore è diventato proprietario di immobili e scrittore per riviste, gestisce il resort “Othello” insieme alla giovane moglie Nihal. Per meglio dire, non proprio insieme. Aydin ha una personalità forte, accentratrice e anche conservatrice. Nihal non ha mai avuto la possibilità di un percorso autonomo di alcun genere. E lui è seriamente convinto di essere nel giusto, di essere in grado di dare buoni consigli in virtù di una maggiore esperienza, ma anche di giudicare bene e di essere un uomo onesto e pronto all’ascolto. Una semplice interferenza in un’attività benefica di Nihal, però, darà il via a un confronto spietato proprio in concomitanza con la caduta della prima neve.

“Kis Uykusu” vuol dire in lingua turca “Sonno d’inverno”, ovverosia letargo. Siccome l’espressione è molto attinente al racconto di dinamiche umane posto da Nuri Bilge Ceylan al centro del suo film, possiamo dire che trasformarlo per l’edizione italiana in “Il regno d’inverno” non rappresenta un aiuto per lo spettatore, già messo in allarme da una durata superiore alle tre ore e poi, per volontà dell’autore stesso, costretto ad attendere oltre un’ora per avere la possibilità di entrare in un film che non tratta di massimi sistemi, ma è ugualmente molto complesso ed esclusivo. Se possiamo trovare un difetto ne “Il regno d’inverno” è proprio in questa attesa che a lungo andare diventa anche sfiancante del momento in cui si aprirà una porta e ci permetterà di diventare parte attiva e non soltanto pubblico perplesso. Conoscevamo già da “Uzak” e “C’era una volta in Anatolia” la propensione di Ceylan per i ritmi distesi, per i serrati confronti dialettici, per i paesaggi che diventano parte attiva del racconto. Qui, però, tutto questo diventa protagonista assoluto, tanto da rendere difficile pensare che “Il regno d’inverno” possa essere una semplice rappresentazione simbolica della Turchia. E’ molto probabile, invece, che rivolgendosi ancora una volta al proprio nume tutelare Cechov, di sponda al maestro dell’incomunicabilità Bergman e, con la scelta di chiamare il resort del protagonista “Othello”, persino all’immortale Shakespeare, Ceylan abbia voluto parlare (e dire semplicemente sarebbe improprio) di rapporti umani, di quanto possa essere difficile valutare una persona, persino della possibilità che il dubbio permanga senza arrivare a una precisa chiarificazione. In questo, naturalmente, gli aspri paesaggi della Cappadocia giocano un ruolo fondamentale consentendo all’autore di raccontare una storia di incomprensioni e confronti in un contesto temporale che sembra non mutare, non procedere. Ceylan è riuscito in qualche modo a fermare il tempo e, in quel villaggio immutabile, a parlare di verità e menzogna, di cinismo e disponibilità, di sentimenti negati, di desiderio di uscire che probabilmente non diverrà realtà. Solo in questo senso, nel confronto tra una volontà di conservazione e un’aspirazione alla novità, si può leggere il film come immagine traslata della situazione sociale della Turchia.

Ceylan ci chiede pazienza e attenzione. “Il regno d’inverno” non è un film che si possa gustare come un piatto di fast food, ma richiede concentrazione e occhio per le sfumature. Ad esempio, una delle tematiche principali che è quella della convinzione di fare del bene senza tener conto di come ciò verrà recepito dal destinatario non si limita al solo Aydin: nella parte finale del film il gesto di Nihal di donare agli affittuari una somma di denaro che verrà rifiutata, dimostra come la distanza tra marito e moglie non sia poi enorme e soprattutto come certe pratiche possano a lungo andare attaccarsi in una sorta di condivisione (contagio?). Con il contributo fondamentale dei protagonisti Haluk Bilginer e Melisa Sozen, l’autore mette in scena un rapporto che, eliminate le discendenze letterarie, invoca un realismo che non riguarda soltanto il paese di ambientazione che anzi, proprio per le scelte espressive dell’autore, sembra evocare uno scenario da favola che non prevede né principe azzurro né lieto fine. L’ultimo atto di Aydin consiste nel sedersi alla macchina da scrivere e digitare sul foglio bianco “Storia del teatro turco”, un progetto mai realizzato. Se anche andasse avanti, sarebbe la continuazione di un “io” che avrebbe bisogno di ben altro per diventare “noi”.

di Francesco Mininni

IL REGNO D’INVERNO (Kis Uykusu) di Nuri Bilge Ceylan. Con Haluk Bilginer, Melisa Sozen, Demet Akbag, Ayberk Pekcan. TURCHIA/FRANCIA/GERMANIA 2014; Drammatico; Colore

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