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La vita di Adele

La vita di Adele

GENERE: Drammatico REGIA: Abdellatif Kechiche  SCENEGGIATURA: Abdellatif Kechiche, Ghalya Lacroix  ATTORI: Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Salim Kechiouche, Aurélien Recoing, Catherine Salée, Jérémie Laheurte MONTAGGIO: Camille Toubkis, Albertine Lastera, Jean-Marie Lengelle, Ghalya Lacroix PRODUZIONE: Quat’sous films, France 2 Cinéma, Wild Bunch, Scope Pictures, Vértigo Films DISTRIBUZIONE: Lucky Red PAESE: Francia 2013 DURATA: 179 Min USCITA CINEMA: 

Se state cercando un film da far vedere in occasione di un “Gay Pride”  questo è assolutamente indicato – d’altronde vi è anche una scena in occasione di una di queste manifestazioni – , ma se vi aspettate un’opera su particolari tematiche , forse resterete delusi.

Una adolescente, Adele appunto,  cresciuta in un ambiente scolastico disinibito,ma anche pronto a critiche feroci per coloro che si allontanano dai binari standard e senza la minima ombra di un rapporto con i genitori buoni solo a servire meravigliosi piatti di pastasciutta, decide di dare sfogo alle proprie naturali pulsioni sessuali  concedendosi ad un giovane che le dichiara un interesse. Non soddisfatta dell’esperienza fatta cerca qualcos’altro e lo trova in una ragazza più grande di lei ,Emma.

Detto questo il film si svolge secondo i normali e usuali canoni dell’analisi di un innamoramento con ammiccamenti,scenate di gelosia, incontri e scontri e, soprattutto, rapporti sessuali che non lasciano nulla all’immaginazione. Se la storia fosse stata data in mano a Federico Moccia ed i protagonisti fossero stati due etero, non sarebbe stato necessario cambiare  alcunché perché questo film non è altro che il racconto di una vicenda fra due innamorati.

Condotto con indiscutibile maestria dal regista Abdellatif Kechiche e con l’ottima l’interpretazione delle protagoniste si deve dar atto che l’attenzione dello spettato è tenuta desta per circa tre ore nonostante che, come detto, non ci viene presentata  alcuna situazione originale come neppure alcuna sensazione singolare.

Sicuramente nel film non ci si perita a misurare le scene relative al primo rapporto sessuale fra Adele ed Emma che sono così esplicite  – a livello di film porno –  da far sorgere il dubbio che siano il fine di sé stesse piuttosto che funzionali al contesto narrativo tanto :  sorge il dubbio  che facendo leva  su questi  abbondanti aspetti  ‘forti’ e sulla singolarità della descrizione di un rapporto omosessuale si  cerchi il consenso al botteghino. Se poi si aggiunge che il film è stato premiato all’ultimo festival di Cannes con la palma d’oro, gli incassi sono sicuramente garantiti.

In sintesi , questo film propone allo spettatore il tema della “normalità” del rapporto lesbico e ce lo rende accettabile facendo leva proprio su tutti quegli elementi che tradizionalmente sono propri dell’amore  tra due giovani  ‘etero’.

Ad ognuno le conseguenti valutazioni morali !
Vito Rosso


 

LA VITA DI ADELE di Abdellatif Kechiche

C’era una volta Antoine Doinel e forse c’è ancora. Così come la piccola Zazie, che sognava di andare a Parigi soltanto per prendere il metrò. Così come Michel Poiccard, che si lasciava uccidere pur di non rinunciare alla propria idea di libertà. Insomma, c’era una volta la nouvelle vague. In un certo senso sembra che il regista tunisino, ormai naturalizzato francese, Abdellatif Kechiche abbia realizzato “La vita di Adele”, ispirandosi al romanzo grafico di Julie Maroh “Il blu è un colore caldo”, in prima battuta proprio per rendere omaggio a quel movimento che un po’ cambiò la storia del cinema e che evidentemente gli sta molto a cuore. Ecco perché la protagonista Adèle Exarchopoulos, che non è un campione di espressività, ha però la faccia giusta: imbronciata, innocente, stupita e aperta alle emozioni, capace di riportarci con uno sguardo a quegli anni ribelli. Ma non basta: una famiglia tranquilla e popolare, un corso di letteratura su Marivaux, un’idea del mondo desunta dai libri nella quale irrompe improvvisa la forza della passione. Molte cose ci riportano a “I 400 colpi”, “Fino all’ultimo respiro” e “Jules e Jim”. Ma molte altre ci ricordano che nel frattempo i tempi sono cambiati e che, se una ragazza poco più che quindicenne va con un ragazzo perché le hanno detto che è giusto così, niente vieta che poco dopo la sua personale sensibilità la convinca che l’amore vero è altrove, in una donna dai capelli celesti, dai forti interessi culturali e dall’aria vissuta. Quindi, siccome al cuore non si comanda, si va avanti così.

Adèle è una studentessa di letteratura che, causa un classico colpo di fulmine, si innamora di Emma. La passione è forte, anche totalizzante. Adèle viene dalla media borghesia e la specialità del padre sono gli spaghetti col ragù. Emma invece ha una madre e un patrigno di ceto più elevato, che conoscono e approvano le sue tendenze e che mangiano ostriche. La convivenza, libera da una parte e clandestina dall’altra, potrebbe funzionare. Ma la mentalità più radicalmente borghese di Emma fa sì che il primo tradimento (con un uomo) di Adèle porti alla rottura insanabile. Emma troverà un’altra donna (con bambina), Adèle resterà sola e innamorata.

Kechiche, che ha uno stile piuttosto riconoscibile e un certo acume psicologico, ha anche la presunzione di raccontare una storia che sembra un teorema universale e invece è soltanto un caso tra i tanti. Lo fa come sa: cioè, allungando i tempi del racconto, evitando tagli di montaggio troppo ravvicinati, accarezzando le due donne con la macchina da presa e catturando ogni attimo della loro storia, da quelli pubblici a quelli più intimi. Ne esce un film di tre ore che, pur lasciandosi apprezzare per qualità d’immagine e valori simbolici, metterà in crisi chiunque abbia qualche dubbio sull’amore rappresentato. Da parte nostra, siamo ancora convinti che non sempre il racconto di una storia d’amore possa mettere tutti d’accordo. E soprattutto che Kechiche, a quanto pare amante del realismo, abbia in realtà raccontato una specie di favola nella quale Biancaneve e la regina, invece di farsi la guerra, diventano amanti, si trovano in posti frequentati dove tutti le accettano o in posti dove non c’è nessuno a parte loro (normale in una camera da letto, più strano in un parco pubblico o in un bar). Poi, mentre Adèle diventa maestra e mantiene uno spirito libero, Emma smette di avere i capelli celesti, si integra nel tessuto sociale e, pur rimanendo della sua idea, rinuncia a qualunque palese trasgressione. Così una si tiene gli spaghetti e l’altra va avanti con le ostriche. Non saremo certo noi a dire che “La vita di Adèle”, premiato a Cannes con la Palma d’Oro, sia un brutto film. Ma non ci vergogniamo ad affermare che non è nostra intenzione abituarci a una visione parziale dell’esistenza che qualcuno vorrebbe far passare per normalità. E pensiamo seriamente che da qui all’omofobia ce ne corra.

Francesco Mininni


 

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