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Maps to the stars Il rischio di estremizzare l’estremo trasforma Cronenberg in lista della spesa

E’ stato dimostrato più di una volta che se a David Cronenberg si toglie l’estremizzazione sarà molto difficile riconoscerlo in un primo piano, in un movimento di macchina o in un virtuosismo di montaggio. Il recente “A Dangerous Method”, ad esempio, poneva il problema di una narrazione troppo misurata e di una struttura, per così dire, tradizionale. Tra il provocatore di una volta e quello più riflessivo degli ultimi anni sono intercorsi episodi (uno per tutti: “A History of Violence”) che hanno dato la precisa impressione di una frenata sul tasto estremo a beneficio di ragionamenti più strutturati. Ecco dunque che “Maps to the Stars” sembrerebbe l’ideale per riportarci il Cronenberg non diciamo degli inizi (“Il demone sotto la pelle” e “Rabid”), ma quello trasgressivo e capace di turbare di “Crash”, “Il pasto nudo” e “La mosca”. Ma Cronenberg ha voluto applicare le proprie trasgressioni a Hollywood, cercando in un certo senso di estremizzare l’estremo in un modo che, fatalmente, suscita una lunga serie di paragoni che non sono mai a suo beneficio. Billy Wilder aveva detto la sua su Hollywood nel 1950 con “Viale del tramonto”. John Schlesinger aveva ribadito il concetto nel 1975 con “Il giorno della locusta”. Blake Edwards aveva lanciato frecce avvelenate nel 1981 con “S.O.B.”. Tutti partivano da situazioni di ordinaria follia che procedevano a grandi passi verso il delirio, il caos, la morte. Cronenberg sa benissimo di non poter raccontare Hollywood come se fosse il mondo intero e si limita a prendere di mira lo star system in un modo che trasmette una precisa sensazione di già visto e, a seguire, di inutilità. Se contiamo anche l’inevitabile scorrere del tempo (Cronenberg ha 71 anni) non stupirà un film che commette un semplice errore di partenza sufficiente a compromettere l’intera operazione.

Si parte con Benji, bambino prodigio figlio di uno psicologo-guru e di un’attrice che porta il fardello di una madre più famosa e più brava di lei. Nel loro fragilissimo equilibrio irrompe Agatha, la figlia maggiore appena dimessa da una clinica per malattie mentali. Nonostante i rabbiosi sforzi del padre per tenerla a distanza, Agatha compirà la propria missione portandosi dietro un corredo di fantasmi e deviazioni mentali. Sapremo così che padre e madre sono in realtà fratello e sorella e che la stortura potrebbe anche perpetuarsi.

Non c’è dubbio che “Maps to the Stars”, se affidato a Wayans o alla coppia Friedberg/Seltzer, avrebbe potuto diventare uno dei tanti “Scary Movie” o “Hot Shots”. A colpire è soprattutto la grande difficoltà di Cronenberg nel saper gestire l’accumulo di episodi sgradevoli o semplicemente grotteschi che a lungo andare trasforma il tutto in una lista della spesa. Tra incesti inconsapevoli e altri premeditati, le apparizioni di fantasmi (adulti per gli adulti, bambini per i bambini) che dovrebbero evocare frustrazione, cattiva coscienza e vendetta, una scena a dir poco imbarazzante con Julianne Moore seduta sulla tazza e intenta ad esporre problemi di stitichezza con susseguente emissione d’aria, i sogni di chi vorrebbe arrivare e gli incubi di chi è già arrivato, l’impossibilità di vivere una vita normale a qualunque livello, Cronenberg vorrebbe arrivare a una rappresentazione più apocalittica che critica di un inferno in terra che trasmette una deliberata sensazione di freddezza ma fa semplicemente pensare a chi l’ha fatto meglio. I personaggi sono in realtà simulacri, simboli senz’anima. E questo non aiuta affatto gli attori tra i quali solo Mia Wasikowska (Agatha) ha qualche lampo di autentica ambiguità. D’altronde Cronenberg non è né Buñuel né Pasolini: “Il fascino discreto della borghesia” e “Teorema” restano due pianeti molto, molto lontani.

Francesco Mininni

MAPS TO THE STARS (Id.) di David Cronenberg. Con Julianne Moore, John Cusack, Robert Pattinson, Mia Wasikowska, Evan Bird, Olivia Williams. USA/CANADA 2014; Drammatico; Colore

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