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Monuments men Documentario su una improbabile spedizione per il recupero di opere d’arte.

Il tema che George Clooney – regista soggettista ed interprete del film –  intende utilizzare per fare questo film è,sulla carta, particolarmente stimolante: è storia vera che politica dei nazisti era quella di razziare tutte le opere d’arte disseminate nei musei europei per farne un grande centro intitolato ad Adolf Hitler . Quando questo non fu più possibile a causa della perdita della guerra , l’ordine perentorio fu quello di distruggere tutto.

Gli elementi ci sono  tutti per confezionare un film ‘revival’ di quell’epopea di guerra in cui gli americani hanno chiesto il riconoscimento di salvatori del mondo.

Clooney confeziona così un soggetto insieme a Grant Heslov – sceneggiatore anche delle Idi di marzo del 2011 – che vede un manipolo di studiosi americani che si sacrificano per togliere ai tedeschi  più opere possibili perché ‘se ad un popolo vengono tolti i suoi capolavori è come se si togliesse loro la propria storia e cioè il segno stesso della loro esistenza’.

Questa ‘sporca dozzina’  – ma erano solo in sette – arrivano perfino a dare la vita per restituire ai legittimi proprietari  le opere sottratte. Per fortuna nel mondo c’era anche qualcun altro che sentiva questa problematica: si salva una studiosa francese – CateBlanchett – che prende nota di tutto quel che fanno i tedeschi in modo, un domani, di riconoscere e restituire ai legittimi proprietari quanto sottratto.

Questo è ciò che il film ,forse,si proponeva perché nei risultati la vena di auto celebrazione supera i limiti del verosimile ed alla domanda retorica se un’opera d’arte vale una vita si risponde senza titubanza che è vero.

Il quadro che Cloooney cerca di disegnare, il tema che i tedeschi  avessero voluto distruggere la memoria di un popolo per cancellarlo dalla storia entra in contrasto con l’intenzione di Hitler di conservare tutto in un grande museo:  In un primo momento possiamo parlare di ladri , ma non di distruttori.
Oltre a ciò per isolare gli americani dal mondo dei cattivi si sottolinea come gli stessi allesti russi fossero raziatori alla stregua dei nazisti. E non basta…. gli americani sono dei veri ‘forti e puri’ perché anche il tentativo della studiosa francese di convincere James a tradire la moglie (James è Matt Damon,uno dei componenti del manipolo) con la motivazione che ‘tanto siamo a Parigi’ va a vuoto.

In sostanza un film che è più un documentario di fantasia che un’accusa sui misfatti artistici della seconda guerra mondiale. Non vi è emozione come non vi è una trama; non è un film di guerra come non è un film d’avventura troppo legato all’interesse di dare degli americani un quadro assolutamente positivo.
Anche se il verosimile non è richiesto all’opera cinematografica si pretende almeno una coerenza narrativa che nel nostro caso non troviamo.
Purtroppo un’dea interessante non utilizzata per le sue potenzialità.  

Vito Rosso 

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Non è cosa facile far coincidere

le ragioni della storia e quelle di Hollywood

“Monuments Men” è sicuramente il film più palesemente americano di George Clooney, che in altre sue scelte da regista (pensiamo soprattutto a “Good Night, & Good Luck”) aveva invece mostrato una precisa volontà di non adeguarsi ai meccanismi classici. Niente di male. In fondo, l’idea stessa di raccontare il coraggio e le ottime intenzioni della squadra che, su preciso ordine di Roosevelt, fu distaccata in Europa nel tentativo di recuperare le moltissime opere d’arte trafugate dai nazisti, implicava un tanto di patriottismo, di cameratismo, di idealismo, di azione, di sentimenti e di eroismo che riporta fatalmente ai modelli classici del cinema americano (bellico, western o commedia, non fa differenza). Le ragioni della storia implicano una ricostruzione degli avvenimenti, una documentazione accurata, una riflessione sul passato più o meno recente, una ragionevole obiettività e il desiderio di apprendere qualcosa che aiuti a non commettere i medesimi errori in altre epoche. Le ragioni di Hollywood, invece, possono anche comprendere quanto sopra, ma implicano soprattutto la costruzione di uno spettacolo, il rispetto di certe regole tecniche, la formazione di un cast che possa attirare il grande pubblico, la capacità di mantenere il sorriso anche in circostanze molto drammatiche e l’obbligo di tenere conto delle strade aperte dai grandi spettacoli con la regola non scritta di discostarsi il meno possibile da un format che il pubblico possa riconoscere e da cui si senta rassicurato. Quindi non si può imputare a Clooney una scelta tradizionale al posto di qualche azzardato esperimento. “Monuments Men” aveva bisogno di sicurezze, non di esperimenti.

L’incarico di formare la squadra è assegnato allo storico dell’arte Frank Stokes, che non ha problemi a convincere gli amici giusti (uno storico, un critico, un mercante, uno scultore, un pilota ed un soldato ebreo tedesco) e a portare avanti una missione che, pur essendo la guerra vicina alla fine, non è certo esente da rischi. Con l’aiuto di una francese accusata di collaborazionismo e lasciando due uomini caduti sul campo, Stokes riuscirà a recuperare una gran quantità di opere che verranno restituite ai legittimi proprietari.

“Monuments Men” si fa forte di qualche ragionamento approfondito (ma altrettanto didascalico) sul fatto che le opere d’arte appartengono a tutti e che la loro distruzione equivarrebbe alla cancellazione della memoria dell’umanità. Quando però si tratta di mettere in scena l’azione, vengono fuori i limiti dell’operazione. La composizione della squadra si colloca a metà strada tra “I magnifici sette” e “Quella sporca dozzina” con l’esclusione programmatica di scene d’azione intese come esibizione di violenza. Quando qualcosa filtra, Clooney provvede subito a dirottarlo su un versante il meno drammatico possibile (pensiamo all’episodio di James Granger/Matt Damon che si rende conto di aver messo il piede su una mina), ottenendo alla fine un risultato che trasforma lui e Damon in una sorta di Indiana Jones lasciando gli altri, Bob Balaban, Bill Murray e John Goodman, a fare le macchiette. In particolare, non si riesce a capire il perché della presenza di John Goodman, che non dice battute di spirito, non ha scene madri e non dà un contributo sostanziale alla riuscita della missione. Insomma, si ha la netta impressione di un coro a due voci (appunto, Clooney e Damon che sono le star assolute del film) con un po’ di spazio per Cate Blanchett (che interagisce con Damon), con Balaban e Murray a fare la coppia comica e con Jean Dujardin che ha l’onore della morte sul campo. Va da sé che il ritrovamento delle opere d’arte procura emozione in chiunque ne comprenda l’importanza e forse alla fine giustifica l’esistenza di un film di ordinaria amministrazione nobilitato da un contenuto superiore alla forma.

Mininni Francesco

DATA USCITA: 13 febbraio 2014 GENERE: Azione, Drammatico ANNO: 2014 REGIA: George Clooney
SCENEGGIATURA: George Clooney, Grant Heslov ATTORI: Matt Damon, George Clooney, Cate Blanchett,John Goodman, Bill Murray, Jean Dujardin, Lee Asquith-Coe, Hugh Bonneville, Bob Balaban, Diarmaid Murtagh, Sam Hazeldine, Dimitri Leonidas FOTOGRAFIAPhedon Papamichael MONTAGGIOStephen Mirrione MUSICHEAlexandre Desplat  PRODUZIONE: Smoke House, Sony Pictures Entertainment, Twentieth Century Fox DISTRIBUZIONE: 20th Century Fox PAESE: USA DURATA: 118 Min

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