“AMERIKATSI” dall’Armenia un nuovo Chaplin?
Un’opera sorprendente, capace di divertire, commuovere, rivelare con leggerezza aspetti teologici dell’esistenza
Di Marco Vanelli
Non capita di frequente a chi redige queste note di entusiasmarsi per un film, ma questa volta si ha davvero l’impressione di trovarsi di fronte a un piccolo capolavoro, a un’opera che anche chi va poco al cinema dovrebbe vedere per i suoi valori artistici e tematici. Ci troviamo, tanto per dare un’idea, dalle parti della Vita è bella o di Train de vie: racconti che, con leggerezza e umorismo, sanno affrontare questioni drammatiche toccando al contempo i valori universali di umanità, riscatto, redenzione.
Siamo in Armenia nel 1948: Charlie Bakhchinyan, l’americano del titolo, è un emigrato armeno sopravvissuto da bambino al genocidio operato dagli ottomani e che ora ha lasciato gli Stati Uniti per tornare alla terra d’origine rispondendo all’appello di Stalin per ripopolare quel piccolo stato martoriato dalla storia e dai terremoti. Charlie, ingenuamente, crede di potersi sentire finalmente a casa, ma nel giro di poche ore si trova a fare i conti con l’ottusità sovietica, i pregiudizi ideologici, l’assurdità dell’apparato repressivo. Finisce così in carcere, condannato per cosmopolitismo, sospettato di essere una spia e di voler diffondere il cristianesimo in un paese finalmente libero da retaggi religiosi.
Il tono della prima parte è tragicomico e riesce a strappare più di un sorriso in una situazione che comunque rimanda a una storia tristemente reale. Charlie – ben presto ribattezzato dai suoi aguzzini “Chaplin”, come l’unico americano allora tollerato nei paesi comunisti – conosce poche parole armene e nessuna russa; il suo inglese – lingua dei capitalisti – è frainteso e boicottato da chi lo accusa: in carcere si ritrova isolato e vessato senza possibilità di comunicare. Ma un varco nel muro di cinta, causato da una scossa tellurica, gli permette di osservare dalla sua cella ciò che accade nell’abitazione di una delle guardie carcerarie, come fosse un film muto che gli rivela, giorno per giorno, ora per ora, i segreti di altri esseri umani.
Qui il racconto cambia registro e tocca le vette della poesia. Il soprannome di “Chaplin” non sembra assegnato a caso: certi buffi aggiustamenti meccanici che Charlie riesce a creare per poter assistere dalla finestrella a ciò che accade alla coppia di dirimpettai non può che omaggiare il più grande regista di sempre che, d’altra parte, con il suo Il grande dittatore, per primo è riuscito a far ridere, pensare, commuovere su una tragedia del nostro tempo. Inoltre, l’alternarsi di campi e controcampi tra chi osserva e chi è osservato rimanda alla vera natura del cinema, fatta di inquadrature, montaggio, rumori e musiche senza il bisogno di dialoghi e spiegazioni verbose come accade per lo più nel cinema odierno. Ma Amerikatsi ci fa fare un salto ancora più alto: l’attenzione con cui Charlie osserva le dinamiche personali fatte di paure, desideri, abbandoni e riconciliazioni nella casa di fronte non è mera curiosità, ma partecipazione profonda, compassione, amore. Un amore che rimanda, plasticamente, a quello di un Dio nascosto, umiliato, negletto (qual è il Dio cristiano) che si strugge perché le sue creature trovino la felicità, vivano in pienezza, riescano a cogliere i segnali di salvezza che si sforza di inviare pur senza interferire nelle loro esistenze. Charlie, come il personaggio immortale del vagabondo di Chaplin, ama senza pretendere di essere riamato, opera il bene perché crede nel Bene.
Alla fine del racconto tutto si tiene: il legame con il passato rappresentato dal ricordo della nonna, la fiducia in un futuro fatto di accoglienza, condivisione, agape. Con un sorriso che non si deve mai perdere nella vita e uno sguardo alle cicogne che attraversano il cielo armeno sullo sfondo dell’Ararat.
AMERIKATSI
Regia, sceneggiatura e montaggio: Michael Goorjian; fotografia (colore): Ghasem Ebrahimian; musica (eseguita da Armenian National Philarmonic): Andranik Berberyan; canzoni: Miqayel Voskanyan; interpreti: M. Goorjian, Hovik Keuchkerian, Nelli Uvarova, Mikhail Trukhin, Narine Grigoryan; produzione: Patrick Malkassian, Serj Tankian Vartan Barsoumian; distribuzione: Cineclub Internazionale, Dna srl; origine: Armenia, 2022; formato: 2,35:1; durata: 115 min.
Fonte: ToscanaOggi.it del 21/01/2025