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Atti degli Apostoli: alla ricerca delle fonti

di Marco Vanelli

«Ai poeti resta da fare la poesia onesta»
Umberto Saba, 1911

Premessa

In questo lavoro ho voluto affrontare uno dei film a mio parere più belli e importanti tra quelli realizzati da Rossellini per la televisione. Purtroppo è anche quello oggi meno conosciuto, mancando ancora un’edizione in dvd e una seria analisi del suo contenuto storico e biblico. È ciò che anni fa ho tentato di fare, pubblicando un saggio su «Ciemme» (n. 117, agosto 1996) all’epoca in cui cominciavo da poco ad avvicinarmi alla redazione della rivista che poi avrei guidato. Con varie registrazioni in vhs e una copia in pellicola 8mm, tutte diverse fra loro per metraggio, riuscii a fare una scomposizione delle sequenze di ogni puntata tenendo il testo biblico a fianco per fare un riscontro con la sceneggiatura. Ben presto dovetti passare dagli Atti alle varie epistole paoline, poi alle citazioni evangeliche o veterotestamentarie evidenziando, invece, ciò che era frutto della creazione degli sceneggiatori: personaggi, dialoghi o sequenze inventati ex novo per dare maggiore unità narrativa al racconto e soprattutto per contestualizzare storicamente e antropologicamente i fatti. Mentre mi trovavo impegnato in questo sforzo certosino di risalire alle fonti scritturali, dovetti prendere atto della ricchezza linguistica del film, della coerenza del metodo scelto da Rossellini, perfino della bellezza figurativa e semantica di certe soluzioni che allora – devo dirlo – guardavo con la sufficienza di chi riteneva opere minori i film rosselliniani dagli anni Sessanta in poi.

L’occasione dell’invito al convegno “Cristianesimo e cinema” organizzato dall’Università di Foggia dal 25 al 28 ottobre 2011, dove ho parlato proprio degli Atti degli Apostoli di Rossellini, mi ha spinto a riprendere in mano il saggio del 1996, rivedere l’analisi delle sequenze (correggendo e integrando il testo) e approfondire la parte iniziale dove sono spiegati alcuni presupposti teorici delle scelte di Rossellini, in particolare una sequenza di speciale rilevanza teologica, da guardare in parallelo con una analoga che troviamo nel Messia.

Dato il tema di questo Laboratorio, ho pensato che fosse il caso di ripubblicare il tutto riveduto e corretto, sperando che possa servire come base di lavoro per coloro che vorranno vedere, rivedere, studiare e sviscerare ancor più e meglio il film di cui Rossellini scriveva a Papa Montini nel maggio 1969: «Nello spirito dell’indimenticabile colloquio che la Santità Vostra ha voluto concedermi ho realizzato per la televisione gli Atti degli Apostoli. Il pubblico ha ben accettato questo programma pur pieno di difetti e lacune. Ciò vuol dire che con gli uomini non bisogna essere eloquenti ma solo onesti e umili». Ecco: l’onestà è per me il paradigma per comprendere a fondo l’ultimo Rossellini, un Rossellini che si accingeva a dirigere la vita di Marx, poi un film sull’Islam, ma che non aveva difficoltà a frequentare il Vaticano, farsi ricevere dal Papa, scrivergli e dedicargli il suo film. Un Rossellini aperto e in dialogo col mondo, come sempre. Un Rossellini onesto.

Diffondere la conoscenza

Quando nel 1968 Roberto Rossellini diresse per la Rai uno sceneggiato in cinque puntate tratto dagli Atti degli Apostoli, la sua carriera aveva subito da tempo una svolta di carattere didattico e didascalico che pochi allora seppero valutare adeguatamente e apprezzare. Sembrava che colui che aveva fatto nascere il Neorealismo e tenuto a battesimo la Nouvelle Vague fosse andato a impelagarsi in prodotti televisivi divulgativi, lontani da ogni interesse di vera arte cinematografica. Soltanto oggi la critica rosselliniana colloca nel giusto rilievo l’ultima fase della sua carriera, iniziata a seguito dell’esperienza indiana successiva alla separazione matrimoniale e artistica da Ingrid Bergman, da cui nacquero sia la serie di documentari televisivi L’India vista da Rossellini (1958) che il lungometraggio India, Matri Buhmi (1959).

Rossellini negli anni successivi sarà sempre più ossessionato dal desiderio di promuovere la conoscenza della storia dell’umanità e del pensiero, utilizzando il medium snobbato dagli intellettuali, ma adorato dalle masse: la televisione. Così, con coerenza, adottando un linguaggio semplificato ma, come vedremo, tutt’altro che sciatto, grazie all’uso del piano sequenza e dello zoom (il “pancinor” da lui brevettato), riuscì a portare a milioni di spettatori certi passaggi nodali della storia e della filosofia: da Socrate a sant’Agostino, dai Medici al Re Sole, da Pascal a Cartesio, passando per la storia di Cristo e dei suoi Apostoli. Per comprendere lo spirito, anche polemico, di quei lavori, risultano indicative queste parole del regista risalenti al 1971: se vogliamo vivere nel contesto dei problemi nostri attuali, che sono, secondo me, proprio la base di tutto, ossia la diffusione della conoscenza, queste cose [i problemi di estetica cinematografica] ce le dobbiamo dimenticare. Perché se uno ha la civetteria di voler avere l’approvazione di tutti, beh, non fa più i suoi discorsi. Ne fa altri. Va ad accontentare il signor Tale o il signor Talaltro, non fa i suoi discorsi. Bisogna saper prendere i rischi e fare i propri discorsi: fatti il più onestamente possibile, in modo il più esauriente possibile.

Sono venuto al cinema carico di tutto il mito del cinema. Dal mito del cinema ho cercato di uscire. Uno si libera poco alla volta. Si libera poco alla volta perché la ragione si matura poco alla volta. Ora, un’altra delle cose che mi preoccupa in modo fondamentale è l’onestà, cioè di non essere suggestivo, quindi di spogliare l’immagine di tutti i possibili ingredienti di suggestione, per rimanere alle cose1.

Rimanere alle cose

L’obiettivo di Rossellini è realizzare un cinema, seppur televisivo, fatto di cose: senza spettacolo, senza immedesimazione, ricco di onestà intellettuale, teso a far nascere nello spettatore degli interrogativi e degli spunti di riflessione. Un cinema dove i fatti e i pensieri si legano strettamente, dove il lavoro quotidiano viene messo sempre in evidenza e i personaggi storici non sono mai disincarnati dal loro tempo e dal loro contesto sociale. È sempre Rossellini a chiarire tale scelta espressiva e stilistica:

Quando giro Il Messia, il modo in cui gli apostoli-pescatori vanno a pesca è tanto importante per comprendere il pensiero di Gesù quanto la sua parola. D’altra parte, affinché questa parola assuma il suo significato completo, bisogna che l’uomo che parla venga inserito nel suo esatto contesto storico. Ecco perché nei miei film do tanta importanza ai dettagli e perché utilizzo i piani-sequenza in cui posso introdurre un certo numero di messaggi per permettere a ognuno di avvicinarsi alle cose secondo la propria natura. Mi si rimprovera molto di non fare alcuno sforzo di seduzione, e di filmare “a freddo”. È vero che rifiuto tutto il falso calore e non prendo mai lo spettatore per le spalle per dirgli: «Guarda in questo modo, pensa in quest’altro; attenzione, ora devi commuoverti!».

Voglio che le cose nascano dalle cose, ecco il grande problema2.

Anche l’avvicinamento di Rossellini al cristianesimo nasce dalle cose. Per lui il Vangelo è sempre stato un paradigma con cui leggere la realtà contemporanea (e ciò è evidente già in tutti i suoi film neorealisti) oltre che un imprescindibile snodo nella storia della civiltà. Per questo ha dedicato tre film al cristianesimo nascente: Il Messia (1975), Atti degli Apostoli (1968) e Agostino d’Ippona (1972)3. Per gli Atti si è rifatto, ovviamente, al testo lucano, il più narrativo del Nuovo Testamento, ma anche alle lettere paoline e a una documentazione storica circa gli usi, i costumi e la mentalità del tempo.

L’approccio di Rossellini al racconto della Chiesa nascente è sempre volto a mostrare e non dimostrare: evita ogni psicologismo e cerca di inserire gli Apostoli nel loro contesto storico e culturale, sempre attento al lavoro di ognuno perché anche i fatti più straordinari o le parole più concettose non siano mai disincarnati dal reale, dalla vita quotidiana. Inoltre il regista sceglie di lasciare fuori campo i miracoli o di rappresentarli con totale pudore: questo non per negarne l’esistenza, ma per lasciare alla libera interpretazione dello spettatore ciò che riguarda più specificamente l’ambito della fede. È indicativo quanto Rossellini stesso dice a proposito dell’inquadratura finale del film Il Messia, nel momento in cui ci aspetteremmo di vedere Gesù risorto:

Proprio nella scena finale del Messia c’è un lunghissimo piano sequenza che mostra gli apostoli e la Vergine diretti verso il sepolcro, da dove all’improvviso arrivano correndo alcuni soldati visibilmente sconvolti. Gli apostoli affrettano il passo ma Maria si mette a correre per arrivare per prima. Che cosa ha capito? È Dio che le ha parlato? È la madre che è in lei che ha avuto un sussulto?

Poi arriva davanti al sepolcro, vede la pietra rovesciata, le bende per terra, e cade in ginocchio levando le mani al cielo e la cinepresa segue il suo gesto, puntando a sua volta verso le nuvole.

Questa scena contiene tutti gli elementi del miracolo, ma anche quelli dell’antimiracolo. Il credente sa. Lo scettico può immaginarsi che ci sia stato un accomodamento, che qualcuno abbia portato via il corpo, oppure astenersi prudentemente dal dare un giudizio dicendosi che, dopo tutto, la questione non aveva avuto un seguito poliziesco e che nessun detective era là per indagare.

Il mistero, il dubbio e la fede procedono insieme: spetta al pubblico districarli4.

Ecco: il pubblico ha un ruolo attivo, ben diverso rispetto alle recenti fiction bibliche che le televisioni continuano a riproporre. Anche quando la sceneggiatura prevede degli episodi che non trovano un riscontro nel testo di Luca, ciò non è fatto, come succede negli sceneggiati attuali, per creare dei presupposti psicologici che rendano più accessibili al grosso pubblico certe azioni o certe affermazioni di personaggi lontani nel tempo o comunque provenienti da testi che non si pongono problemi di verosimiglianza. Piuttosto questi inserti aggiunti creano delle premesse storiche che meglio contestualizzano le parole e i fatti.

La storia non fa da sfondo al film: è l’oggetto primo dell’interesse del regista. Il cristianesimo entra nella storia dell’uomo e la cambia: il film ci racconta gli atti di quegli uomini (uomini tra gli uomini) che hanno reso possibile un così radicale cambiamento.

Eucaristia e zoom

Analizziamo ora un particolare uso in funzione tematica che il regista fa del piano sequenza (o comunque della ripresa senza stacchi, in tempo reale) che accomuna il film Atti degli Apostoli al più tardo Il Messia. In entrambi troviamo il racconto dell’Eucaristia: la prima volta che i discepoli la celebrano dopo la discesa dello Spirito negli Atti e la sua vera e propria istituzione durante l’ultima cena nel Messia.

L’ordine cronologico dei film è opposto a quello dei testi, ma ciò che interessa a noi ora è constatare come a distanza di un decennio Rossellini ricorra ai medesimi strumenti espressivi per comunicare un contenuto non solo storico o narrativo, ma soprattutto spirituale.

Nel finale della prima puntata degli Atti vediamo che Pietro e Giovanni, dopo essere stati incarcerati, vengono liberati e ritornano nella casa dove vive la prima comunità. Il testo di riferimento è Atti 4,23: «Rimessi in libertà, Pietro e Giovanni andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani»5. La macro-sequenza che contiene l’episodio inizia col far vedere delle donne al lavoro: stanno preparando del pane. Tutte le fasi del procedimento vengono mostrate nei dettagli, secondo gli intendimenti del regista: il lavoro è importante tanto quanto le parole che poi verranno pronunciate. Anche perché proprio quel pane diventerà poi, in base alla memoria che gli Apostoli faranno delle parole del Maestro, la prima Eucaristia condivisa dalla Chiesa nascente.

Dopo una dissolvenza in nero vediamo che il pane è ormai cotto ed è portato in tavola. Gli Apostoli, intanto, lavorano intrecciando dei cesti, poi fanno le abluzioni di rito prima di mangiare: il tutto mostrato in tempo reale. Una volta seduti, a turno cominciano a parlare rievocando i fatti recenti e confermando che la comunità si sta allargando e rinforzando. Un po’ alla volta, si comincia a ricordare quanto ha detto e fatto il Maestro: in particolare è Pietro che ha l’intuizione di rifare ciò che il Cristo aveva compiuto nell’ultima cena. Così, dicendo le stesse parole di Gesù, prende il pane e lo spezza, poi riempie un calice e lo passa agli altri: in questo modo la memoria comune si fa memoriale e l’Eucaristia diventa un rito per gli Apostoli e per la Chiesa a venire.

L’elemento da sottolineare è che Rossellini, con la cinepresa, riprende il calice che passa dall’uno all’altro apostolo intento a mangiare il suo pezzo di pane e bere un sorso di vino, senza fare stacchi di montaggio, con un’unica inquadratura che segue tutta l’azione. La comunione spirituale diventa così anche “comunione filmica”, espressa dalla ripresa continuata che non va a interrompere il rito con il susseguirsi di più inquadrature. Il segno cinematografico va a coincidere con il segno sacramentale: un’intuizione che esprime tutto il rispetto e la partecipazione (non necessariamente di fede) del regista per ciò che sta mostrando. E infatti l’episodio non trova un riscontro testuale in Luca (se non genericamente in Atti 2, 42): è un’invenzione di sceneggiatura.

Al termine dell’Eucaristia, gli Apostoli pronunciano tutti assieme una preghiera: il testo di riferimento è qui Atti 4,24-30 dove però non si parla della frazione del pane, ma solo si ringrazia Dio per la liberazione di Pietro e Giovanni.

Merita prestare attenzione all’ultimo versetto della pericope, Atti 4,31: «Quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza». Il terremoto come teofania rientra in quei fatti miracolistici che Rossellini preferisce non raccontare, ma non per questo si dimostra meno fedele al testo. Risolve quindi la questione facendo sentire, al termine del commento musicale che chiude la sequenza, un leggerissimo boato. È un elemento che il pubblico deve riconoscere e districare da sé: se conosce il testo lucano e se ha fede, lo spettatore coglierà il riferimento divino presente nell’originale; altrimenti, se non lo conosce o se vuol dare una lettura laica all’episodio, si limiterà a pensare a una chiusura rombante della partitura musicale.

La conferma che la rappresentazione dell’Eucaristia con un’unica inquadratura risponde a una precisa scelta espressiva in funzione tematica da parte del regista l’abbiamo con l’ultimo suo film, Il Messia, dove assistiamo all’episodio evangelico cui Pietro si ispira negli Atti: l’ultima cena.

Anche qui la sequenza inizia con l’acquisto del pane per la cena da parte di due Apostoli, a sottolineare che comunque si tratta di un pane vero, quotidiano, lavorato e venduto al pari di tante altre attività umane (si parla infatti anche dell’agnello, della verdura e della frutta che serviranno per il pasto). Poi la tavola viene preparata con attenzione e all’arrivo di Gesù si procede con le abluzioni rituali: solo che sarà lui, con un gesto che crea disorientamento, a lavare e asciugare i piedi ai discepoli. Segue la cena con l’annuncio del tradimento di Giuda. Qui Rossellini ricorre a un montaggio interno alla scena, con raccordo sul movimento di Gesù che offre a Giuda un boccone di pane intinto nel piatto, segno che quando vuole il regista sa fare ricorso al consueto linguaggio filmico fatto di più angolazioni e che quando invece usa un’inquadratura senza stacchi lo fa consapevolmente.

Al momento in cui Gesù spezza il pane e lo dà ai discepoli, la cinepresa segue, senza tagli, con lo zoom i gesti di coloro che stanno alla sua destra, stringendo sui primi piani per poi tornare al totale quando Gesù prende il vino, lo versa nel calice e lo passa loro. Di nuovo l’inquadratura (sempre la stessa) restringe sui volti che bevono partendo da quelli alla sua destra finché l’ultimo di questo gruppo si alza e porge il calice ai discepoli che sono alla sinistra di Gesù. L’unità sacramentale coincide anche questa volta con l’unità sintattica della ripresa: ciò che accade attorno a quella tavola, ci si creda o no, è qualcosa di unico che non può essere interrotto dalla consueta frammentazione del montaggio.

Per avere un’ulteriore conferma in negativo di questa scelta espressiva, si veda anche la sequenza 11 della quarta parte. Lì è Paolo a celebrare l’Eucaristia nella comunità di Antiochia, tra cristiani provenienti dall’ebraismo e dal paganesimo, cioè tra circoncisi e incirconcisi. La cinepresa segue, senza stacchi, il calice che passa da uno all’altro dei presenti seguendo lo stesso procedimento che abbiamo descritto sopra. Ma a un certo punto sentiamo la voce di Zaccaria, il personaggio di fantasia che acquista man mano una maggiore importanza fino ad avere un suo percorso nella quinta parte. Forse per non scomodare Pietro, Giacomo e gli altri membri della comunità di Gerusalemme, a Zaccaria è affidato il compito di contrapporsi a Paolo nella sua opera di apertura ai gentili. E infatti anche qui il suo arrivo interrompe non solo la cena eucaristica, ma anche la ripresa unica che la stava mostrando. Dai suoi scrupoli di ebreo osservante, sordo alle parole di Paolo, nascerà l’esigenza del primo Concilio da convocare a Gerusalemme per dirimere la questione che stava dividendo la prima Chiesa6.

Come vediamo da questi esempi, Rossellini è stato capace di penetrare nei testi neotestamentari non limitandosi a una messa in scena corretta e formale, né tantomeno optando per uno spettacolo accattivante. Ha dimostrato di lavorare sulle fonti, rileggendole in chiave critica per offrirne una rielaborazione personale che fa appello alla cultura e alla scelta di fede di ogni spettatore. Ma soprattutto ha saputo usare il linguaggio filmico per veicolare un concetto spirituale e teologico, il mistero eucaristico, come pochi sono stati capaci di fare prima e dopo di lui e senza che l’esegesi cinematografica l’abbia, finora, adeguatamente riconosciuto.

Note

  1. Gianni Rondolino, Roberto Rossellini, La Nuova Italia, Firenze 1974, p. 14 (la citazione proviene da: Pio Baldelli, Roberto Rossellini, Samonà e Savelli, Roma 1972).
  2. Roberto Rossellini, Quasi un’autobiografia, a cura di Stefano Roncoroni, Mondadori, Milano 1987, pp. 37-38.
  3. Per un approfondimento sulle fonti agostiniane del film, cfr.: Alessandro Stile, Alle spalle di “Agostino d’Ippona”, «Ciemme», n. 161-162, agosto 2009, pp. 83-108.
  4. Roberto Rossellini, Op. cit., pp. 38-39.
  5. Questa e le altre citazioni bibliche provengono dal testo della Cei, editio princeps 2008.
  6. Un collegamento tra il Concilio di Gerusalemme che vediamo nel film e il Vaticano II, da poco concluso, è stato sottolineato da Virgilio Fantuzzi: «Se Il Vangelo secondo Matteo resta il documento più vivo del clima spirituale che si respirava negli anni del Concilio, dobbiamo ricordare […] che nel 1969 Rossellini girerà un film televisivo, Atti degli Apostoli, fortemente legato al clima conciliare, e dove troveremo un indiretto omaggio a Giovanni XXIII e a Paolo VI nel dialogo tra Pietro e Giovanni sulla fiducia della chiesa nei confronti degli uomini “di buona volontà”» (V. Fantuzzi, La religiosità e il cinema al tempo del Concilio, in: Storia del cinema italiano, volume X – 1960-1964, a cura di Giorgio De Vincenti, Marsilio-Edizioni di Bianco & Nero, Venezia-Roma 2002, p. 231).

Roberto Rossellini

 

Atti degli Apostoli

Regia: Roberto Rossellini; soggetto: dagli Atti degli Apostoli; sceneggiatura: Jean-Dominique De La Rochefoucauld, Vittorio Bonicelli, Luciano Scaffa, Roberto Rossellini; consulenti: Stanislao Lyonnet, Carlo Maria Martini; fotografia (colore): Mario Fioretti; operatore alla macchina: Carlo Fioretti; aiuto operatore: Gianni Bonicelli; collaborazione riprese in Tunisia: “Les Films de Carthage”; montaggio: Jolanda Benvenuti; assistente al montaggio: Giancarlo Tiburzi; segretaria di edizione: Marcella Mariani; fonici: Eugenio Rondani, Mario Messina; fotografo di scena: Giovanni Assenza; capo squadra tecnica: Attivo Bevilacqua; scenografia: Gepy Mariani, Carmelo Patrono, Giusto Puri Purini; arredatori: Elio Costanzi, Alessandro Gioia, Dino Leonetti; costumi: Marcella De Marchis; truccatori: Manlio Rocchetti, Carlo Sindici, Duilio Scarozza; parrucchieri: Duilio Scarozza, Franco Rufini, Todero Guerrino; musica: Mario Nascimbene; flauto solista: Severino Gazzelloni; aiuti regia: Malo Brass, Roberto Capanna, Mohamed Naceur Ktari, Hedi Beshes, Abdeljalil El Bahi; interpreti: Edoardo Torricella (Paolo), Jacques Dumur (Pietro), Enrico Osterman, Beppe Mannajuolo (Filippo), Malo Brass (Aristarco), Mohamed Kouka (Giovanni), Bradai Ridha (Mattia), Mario Zampolli, Missoume Ridha (Giacomo il maggiore), Amor Zouiten (Giacomo fratello del Signore), Moncef Ben Redjeb, Hedi Nouira (Andrea), Zignani (Stefano), Mohamed Ktari, Bouraoui, Renzo Rossi (Zaccaria), Daniele Dublino (Sila), Olimpia Carlisi (Lidia), Paul Muller, Lydia Biondi, Dino Mele (Aquila), Maria Cumani Quasimodo, Ada Pometti, Mimmo Caruso, Valentino Macchi, Sergio Serafini, Alessandro Perrella; direttore di produzione: Francesco Orefici; ispettore di produzione: Sergio Galiano; segretario di produzione: Paolo Luciani; produttore esecutivo per Rai-Tv: Vittorio Bonicelli; produzione: Rai-Tv, Ortf, Tve, Studio Hamburg; produttore: Renzo Rossellini jr. per la Orizzonte 2000; origine: Italia, 1969; formato: 1:1,37; durata complessiva: 354 min.

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