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Nuovi cinema paradiso1

Introduzione

Il passaggio al digitale nel mondo del cinema, iniziato dalla fase produt­tiva, si è concluso o meglio si sta ancora chiudendo (riaprono in questi mesi Sale della Comunità grazie al digitale) con la digitalizzazione delle sale cinematografiche e in particolare delle Sale della Comunità, che so­no state impegnate per quasi un decennio in una transizione che le ha viste protagoniste non solo sul versante tecnologico, ma anche sul ver­sante progettuale.

Questo passaggio, che non oserei definire storico, ha cambiato l’in­dustria cinematografica, le sue prassi produttive, il modo con cui lo spet­tatore si relaziona alla sala e, in conclusione, dovrebbe rivoluzionare an­che gli assetti distributivi, i quali sembrano essere stati appena sfiorati dalla rivoluzione digitale e sui quali si evidenziano e si enucleano le di­storsioni di un mercato cinematografico non ancora in linea con la tra­sformazione dettata dalle nuove tecnologie.

La fase che viviamo ora ricorda un po’ il periodo dell’avvento in Ita­lia dei multiplex. Eravamo agli inizi degli anni Novanta e nelle perife­rie delle città sorgevano come funghi, a ridosso o nelle pance dei centri commerciali, tante sale dentro un unico grande edificio, che fino ad al­lora avevamo visto solo nei film americani. Si levò dalla base associativa, ma anche nei piani alti dell’ACEC, un urlo angosciato: ci faranno chiude­re! Le cose, ben per noi, sono andate diversamente. Le Sale della Comu­nità si sono rinnovate, le gestioni sono diventate sempre più comunita­rie e affidate a laici capaci, ed è cresciuta, perché seminata con cura nei decenni precedenti, l’idea di che cos’è e come dovrebbe essere una Sa­la della Comunità. Si è fatta strada, lentamente ma inesorabilmente, la convinzione che se la Sala ha un suo valore nel ventunesimo secolo, lo potrà avere all’interno di un contesto dove la socialità, la spinta cultura­le e il dialogo con la contemporaneità sono considerati pilastri fondan­ti la stessa identità della sala. Il digitale ha amplificato questa intenzione e ha portato a piena maturazione la vocazione più intima della Sala del­la Comunità. Il passaggio al digitale, infatti, sottende questioni ben più complesse, che mettono sotto la lente di ingrandimento le potenzialità, e nel contempo le criticità di una rivoluzione che vede coinvolte non solo l’intera filiera cinematografica, ma anche – cosa che per noi conta di più – l’esistenza e l’essenza stessa della Sala della Comunità.Scan_Pic0014

La ricerca promossa dall’ACEC (Associazione Cattolica Esercenti Ci­nema) e condotta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, i cui risulta­ti sono qui illustrati, esamina da vicino queste realtà, che nel panorama dell’esercizio cinematografico italiano sono un ‘unicum’, in quanto es­se, pur lavorando all’interno della filiera commerciale cinematografica, hanno una valenza culturale e sociale che le caratterizza in modo ine­quivocabile. Le Parrocchie che gestiscono e sono i riferenti legali/am­ministrativi delle Sale della Comunità sono istituzionalmente enti no-pro- fit e svolgono un’attività economica in chiave di sussidiarietà rispetto al loro oggetto ideale e culturale. Questo dato, non assolutamente secon­dario, pone le sale cattoliche all’interno del Terzo Settore inteso come quell’insieme di enti privati che si collocano tra lo Stato e il Mercato e che sono orientati alla produzione di servizi di utilità culturale e sociale.

La presenza capillare delle Sale della Comunità nei centri urbani di piccole e piccolissime dimensioni dimostra che esse operano dove l’e­sercizio commerciale/industriale non arriva più, o meglio, non è mai ar­rivato, svolgendo un’attività compensativa e di supplenza unica rispetto alla presenza dell’esercizio cinematografico italiano. Le Sale della Co­munità si distribuiscono in centri abitati di dimensioni differenti. Non si tratta di una questione di mera presenza numerica, ma della capaci­tà di operare in zone che non sono oggetto di animazione culturale. Si pensi solo al fatto che, nelle città con più di 100.000 abitanti, il 71% delle Sale della Comunità è presente in aree periferiche, contribuendo così a tenerle vive. Le Sale della Comunità rispondono appieno a una prerogativa essenziale del Terzo Settore che è quella di porre quale fine ultimo del proprio agire il perseguimento di una ‘utilità pubblica’ e il conseguente incremento del livello di benessere comunitario.

Le Sale della Comunità rappresentano una realtà vasta, complessa e variegata, dove le proposte culturali, le forme di gestione e le modali­tà di rapportarsi con il territorio sono molteplici e declinate in base alla sensibilità delle Sale e alla loro capacità di rispondere concretamente ai bisogni che emergono dalle comunità locali.

La ricerca mostra in controluce come le Sale della Comunità siano un organismo vivente che si muove nei confronti della realtà e dei pub­blici con i quali si interfaccia con una pluralità di soluzioni e di strategie, cercando di reinventare la sua programmazione e la sua proposta cultu­rale, per rispondere ai differenti bisogni che essi esprimono.

L’innovazione tecnologica, come dicevamo, contempla al suo inter­no anche un investimento di tipo culturale. La rivoluzione cui stiamo as­sistendo non è in primo luogo un’innovazione tecnologica, ma richie­de di essere sottesa a una rivoluzione culturale. Ragionare, progettare,

innovare, sono verbi che necessitano di essere declinati se vogliamo ri­manere credibili a noi stessi e alle nostre comunità di riferimento. Gra­zie alle Sale della Comunità le grandi idee che percorrono la vita intel­lettuale delle comunità e della Chiesa italiana trovano, infatti, modo di essere declinate concretamente. Stare nella contemporaneità, aprirsi al mondo non è solo un fatto di consapevolezza teorica, ma in virtù delle attività culturali, del cinema, del teatro, della musica può diventare uno stile che segna la stessa prassi pastorale della Chiesa. Grazie alle possibi­lità offerte dalla tecnologia digitale sono ormai molte le Sale che abbi­nano alla programmazione tradizionale quella di ‘contenuti alternativi’ o ‘complementari’; prassi familiare anche agli spettatori cinefili che al­cuni anni fa assistettero sorpresi nelle loro sale agli inediti trailer che an­ticipavano la proiezione di concerti rock, balletti, opere liriche e docu­mentari. La polivalenza è un elemento che caratterizza in profondità le sale parrocchiali, dove con soddisfazione rileviamo che il teatro è ospita­to dall’83,82% delle Sale, che nel 33,33% dei casi includono nella loro proposta culturale spettacoli che affrontano i temi del Sacro; temi che hanno visto un forte impulso in questi ultimi dieci anni grazie alla rasse­gna de «I Teatri del Sacro», promossa dalla Federgat e dalla stessa Con­ferenza Episcopale Italiana (CEI).

Sorpresa finale, ma che ci dice dove stiamo andando: grazie al digita­le alcune Sale della Comunità riaprono. Il digitale ha dato una mano a far sì che succedesse più velocemente, perché, grazie ai bandi regiona­li per la digitalizzazione degli schermi, queste Sale hanno trovato finan­ziamenti che diversamente non avrebbero mai reperito in una congiun­tura economica come quella che ci troviamo a vivere negli ultimi anni. Per le sale è un momento felice, grazie anche alla Nuova Legge Cinema, attesa da decenni, che riordina il settore e che prevede un Piano straor­dinario che garantirà 120 milioni di euro in cinque anni per riattivare le sale chiuse e aprirne di nuove. Una misura che potrà permettere l’incre­mento del numero degli schermi e la qualità della visione, coinvolgen­do una fetta sempre più ampia di spettatori italiani.

Il Fondo, poi, destinato al cinema è ripartito tra varie tipologie di in­tervento, ma con una quota del 18% destinata obbligatoriamente ai con­tributi selettivi di cui agli articoli 26 e 27. Proprio all’art. 27 sono cita­te e descritte le Sale della Comunità che, oltre a rientrare nei contribu­ti specifici finalizzati all’esercizio cinematografico, sono ritenute ‘meri­tevoli’ di questi contributi selettivi. La motivazione che il Legislatore ci offre nella Relazione di introduzione alla Nuova Legge recita: «Tali real­tà (le Sale della Comunità) hanno una funzione essenziale per la diffu­sione sul territorio della cultura cinematografica in quanto svolgono un ruolo sociale, oltre che di formazione del pubblico, meritevole di valo­rizzazione». Le Sale della Comunità entrano nel fascio di luce del Legislatore per la loro specificità culturale e sociale. Questo ci collega diret­tamente al primo articolo della Legge dove si afferma che il cinema è: «considerato un fondamentale mezzo di espressione artistica, di forma­zione culturale e di comunicazione sociale, che contribuiscono alla defi­nizione dell’identità nazionale e alla crescita civile».

Questa forte specificità sociale e culturale, con la quale la Nuova Leg­ge caratterizza le Sale della Comunità, si accompagna anche a un’altra dimensione, non subito chiara, ma essenziale nel definire l’identità del­le sale cattoliche: la dimensione della ‘laicità’.

Laico non è l’opposto di credente o di cattolico e non indica, di per sé, né un ateo, né un agnostico, né un non credente. La laicità è fonda­mentalmente la capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razional­mente da ciò che è invece oggetto di fede. La Sala della Comunità è ap­prezzata perché muove i suoi passi sul crinale della domanda e non del­la risposta. E credibile perché non declina la propria attività sui dettami del catechismo, ma sul versante della cultura e della socialità. Per tale ra­gione alimenta il dubbio come fattore di progresso e di crescita, che to­glie la stessa fede dalle insidie delle ideologie. La Sala non disdegna la sua vocazione religiosa, ma sa chiaramente che la sua dimensione reli­giosa non può tradursi immediatamente in precetti di legge o di credo religioso. Come afferma Claudio Magris: «La cultura – anche cattolica – se è tale è sempre laica, così come la logica di San Tommaso o di un pen­satore ateo non può non affidarsi a criteri di razionalità e la dimostrazio­ne di un teorema, anche se fatta da un Santo della Chiesa, deve obbedi­re alle leggi della matematica e non al catechismo».

NeH’immaginario collettivo della popolazione italiana, per quelli che hanno avuto la fortuna di frequentare negli anni della loro infanzia e adolescenza i ‘cinema parrocchiali’, la Sala richiama immagini positive, calde e inclusive: è il luogo in cui – si sente spesso ricordare – sono stati visti i più bei film della vita. Questa è la forza passata e presente delle Sa­le della Comunità. La nostra forza è stata e sarà la nostra ‘non autorefe- renzialità’, la nostra capacità di promuovere ogni tipo di film: dalle serie infinite dei B-movie Ercole contro Maciste o contro chicchessia; dai film esi­stenziali di Bergman a quelli rocamboleschi di Louis de Funès; dal Gesù di Zeffirelli al Vangelo secondo Matteo di Pasolini. Questa trasversalità, que­sto essere vicino ai gusti popolari e al contempo non disdegnare la ricer­ca tipica dei film d’autore, ha reso le Sale della Comunità credibili e, an­cora nel ventunesimo secolo, capaci e degne di promuovere, da par lo­ro, la cultura cinematografica.

La Laicità che segna da sempre la programmazione delle Sale della Comunità ci testimonia l’alto grado raggiunto sul versante delle virtù lai­che: la tolleranza e il dubbio rivolto anche alle certezze della propria fe­de. Abbracciare intimamente i valori cristiani sapendo che ne esistono

altri, e anch’essi meritevoli di rispetto. Una visione spirituale e religiosa della vita può favorire la creazione di una società più giusta, ma la perso­na laica sa che essa non può certo tramutarsi, come per magia, in artico­li di legge. Lo stesso vale per le Sale della Comunità che sono consape­voli che ‘essere al servizio’ del loro territorio e della loro gente non vuol dire far diventare la loro programmazione, cinematografica o teatrale, un fortino eretto alla difesa del proprio credo, ma significa piuttosto di­ventare un luogo capace di dialogare con l’altro e di promuovere la dif­ferenza e il confronto.

Parafrasando Norberto Bobbio potremmo dire che le Sale della Co­munità sono illuminate e spinte dai propri «valori caldi» (fede, giustizia, amore, politica), ma nel contempo difendono i «valori freddi» (le nor­me, la democrazia, le regole sociali e politiche) che, in quanto tali, per­mettono a tutti di coltivare i propri valori caldi.

In questi anni mi è capitato di partecipare a celebrazioni per i 100 anni di vita di alcune Sale della Comunità. Un dato comune che le lega tra di loro è l’essere in dialogo costante con il territorio di appartenen­za. Queste Sale hanno superato due guerre mondiali, vari passaggi tec­nologici, gravi problemi economici, ma alla fine l’elemento che le ha te­nute in vita è stata la passione per la cultura e lo spirito di servizio, nei confronti sia della comunità ecclesiale sia di quella civile. Non potranno certo essere la rivoluzione tecnologica (se pur complicata), gli alti costi delle apparecchiature e la difficoltà di rapportarsi alla modernità a de­terminare la chiusura delle nostre Sale. Per questo motivo l’opera di sal­vaguardia deve muoversi su piani simmetrici: favorire e aiutare l’investi­mento economico per l’acquisto delle nuove tecnologie e per l’ammo­dernamento strutturale delle stesse sale e, allo stesso tempo, offrire stru­menti di conoscenza perché le Sale crescano anche sul versante delle competenze culturali ed ecclesiali. Perdere le Sale della Comunità, fer­mare la loro crescita sarebbe, a ben guardare, anche una perdita cultu­rale e sociale sia per lo Stato sia per la stessa Chiesa italiana.

Siamo solo all’inizio della rivoluzione digitale, sappiamo ancora po­co di come sarà il futuro prossimo, ma lì dovremmo esserci con tutte le nostre Sale. Il digitale, infine, favorirà la nascita di nuovi modelli di bu­siness per tutta la filiera cinematografica e nuovi modelli di gestione an­che per le stesse Sale. La creazione di reti è una delle opportunità che il digitale prospetta a tutto il sistema cinema. Il digitale romperà gli sche­matismi che hanno governato il cinema finora e metterà in rete non so­lo le sale, ma anche le idee e le progettualità che le sale riusciranno a creare. Il valore aggiunto, poi, alla fine lo fa la cultura e gli strumenti di cui si dispone. Come affermava il Card. Carlo Maria Martini in occa­sione di un intervento a un Convegno dell’ACEC milanese: «Occuparsi delle Sale della Comunità non è soltanto un problema etico, di capacità

gestionale, di management; è un vero problema pastorale, da collocare in un contesto globale». Anche la valorizzazione delle Sale della Comu­nità, compresa la digitalizzazione e loro sopravvivenza, allora, non sa­rà solo un problema di tipo tecnico, ma una questione che dovrà esse­re inquadrata aH’interno di una prospettiva dall’ampio respiro cultura­le e pastorale.

Francesco Giraldo

Coloro che ne desiderano copia la possono ordinare alle delegazioni regionali ACEC o alla segreteria nazionale.

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