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” ENCANTO” Assieme al corto che lo precede, è insieme un’occasione di divertimento e riflessione

di Marco Vanelli

E’ in sala Encanto, il 60° lungometraggio d’animazione Disney, una tradizione che ai tempi di Walt era molto controllata e centellinata e a cui, dopo la sua morte, è seguito un periodo di crisi e poi una rinascita clamorosa degli anni Novanta che è arrivata a saturare il mercato ascapito, a volte, della qualità. In questo caso il risultato è però apprezzabile, per quanto eccessivamente carico di elementi narrativi, figurativi e tematici. Vediamo di raccapezzarci.

La vicenda, poco lineare, ruota attorno a una famiglia colombiana, i Madrigal, che sembra uscita da un romanzo di Garcia Marquez o di Isabelle Allende: una matriarca, Abuela, sopravvissuta con i suoi tre gemelli a degli squadroni della morte, vive con la sua numerosa discendenza in una casa incantata. Per un particolare intervento superno (un po’ new age, un po’ mistico, un po’ magico) ogni membro del clan è dotato di uno specifico talento: forza sovrumana, metamorfosi, guarigioni, fioriture, udito sopraffino, tutte doti messe a servizio della comunità che, dopo le persecuzioni, vive in pace e concordia. L’unica a non aver ricevuto il dono miracoloso è Mirabel, simpatica nipote occhialuta che non sembra farsene un problema: semmai sono gli altri a rimarcare la sua alterità. Grazie alla ricerca dello zio Bruno, scomparso misteriosamente e di cui non si deve parlare, Mirabel troverà il suo ruolo salvifico pur in restando priva di superpoteri.

Visivamente il film non dà un attimo di tregua: i colori sono sempre accesi, il ritmo è vertiginoso, le inquadrature, grazie ai prodigi della computer grafica, simulano riprese acrobatiche tridimensionali. Ma non è soltanto un modo per stupire: vengono offerte belle pagine di spettacolo intelligente, grazie alla formula collaudata di ritagliare dei personaggi assai diversificati nelle tipologie fisiche e caratteriali, credibili ed empatici. In particolare si segnala l’assenza di un vero cattivo, della personificazione del Male che, in genere, in questi film provoca il ricorso alla violenza, narrativamente giustificata ma strumentalmente ambigua, per combatterlo. No, qui c’è semmai un reprobo, Bruno, che, conforme al suo nome, rappresenta la parte oscura che si preferisce rimuovere ma che, alla lunga, provoca (letteralmente) incrinature in un equilibrio troppo solare e buono, al limite del buonismo. Ecco che Mirabel, per trovare una sua collocazione familiare, saprà fronteggiare gli aspetti meno gratificanti della vita: il dolore, il contrasto dei sentimenti, il coraggio di guardare in faccia i brutti ricordi e la disponibilità a sacrificarsi.

Non è da trascurare che è grazie a una ferita su una mano, una sorta di stimmata, che lei intraprende il suo percorso di riscatto; inoltre, nel finale, i membri della sua famiglia sembrano un po’ meno straordinari, quasi a ricordare l’importanza dell’eroismo quotidiano, mentre il vero miracolo si rivela la solidarietà degli abitanti del villaggio. I numeri musicali sono divertenti e almeno una canzone (We Don’t Talk About Bruno) la si ricorda volentieri all’uscita del cinema. A Encanto è abbinato un bel cortometraggio, Lontano dall’albero, realizzato con una tecnica d’animazione classica, senza 3D e senza dialoghi. È la parabola di crescita di tre generazioni di procioni che affrontano il pericolo di doversi allontanare dal proprio albero per cercare cibo. Le ferite fisiche ed esistenziali dei progenitori non si devono necessariamente ripercuotere sui più piccoli: una strada diversa, prudente ma non per questo meno gioiosa, è possibile. Tenetelo d’occhio: è un ottimo stimolo per riflettere sul ruolo educativo dei genitori che possono imparare dal passato senza per questo doverlo pedissequamente replicare.

ENCANTO Regia e sceneggiatura: Byron Howard, Jared Bush e Charles Castro Smith; musiche: LinManuel Miranda e Germain Franco; origine: Usa 2021; durata: 99 min.

Fonte: Toscana Oggi, edizione del 12/12/2021

 

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