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“MAIGRET”, verità e finzione in un gioco di specchi tra intrattenimento di qualità e cinema di classe  

recensione a cura di Lorenzo Pierazzi

Nella Parigi degli anni Cinquanta, la giovane Louise Louvière si presenta a sorpresa a una festa di fidanzamento. I promessi sposi ne rimangono sconvolti e lo scontro verbale che ne segue è drammatico.
L’indomani, la ragazza verrà ritrovata priva di vita nel IX arrondissement. Sarà l’inizio di una vicenda intricata e dolorosa che soltanto l’abilità del commissario Maigret riuscirà a risolvere. Ma prima di giungere alla soluzione del caso, l’investigatore incontrerà sulla propria strada un’altra donna che, assomigliando in maniera incredibile alla vittima, sarà determinante nella conduzione delle indagini. Nel crepuscolare Maigret di Patrice Leconte, è Gérard Depardieu (degno erede di Jean Gabin e del nostro Gino Cervi) a indossare i panni di una figura dall’animo sensibile e tormentato, dallo sguardo cupo e malinconico. Il suo è un Maigret abile nel risolvere gli enigmi impossibili che si celano dietro a efferati delitti, poiché possiede la chiave per entrare in contatto con i fantasmi che, oltre al suo passato, popolano la scena del crimine. Leconte contribuisce in maniera determinante alla scrittura del personaggio mostrandocelo spesso in controluce, con la sua inconfondibile silhouette in bella evidenza, simile a un’enorme macchia nera che vaga nelle interminabili notti parigine.
Depardieu, dal canto proprio, si affida a una recitazione per sottrazione, segnata da un cappotto sempre abbottonato e da un cappello che praticamente non toglie mai: per strada, al cinema, in ufficio, alle serate di gala. Tratta dal racconto Maigret e la jeune morte pubblicato da Georges Simenon nel 1954, la pellicola di Patrice Leconte ha il pregio di saper mettere d’accordo gli spettatori alla ricerca dell’intrattenimento di qualità con gli appassionati cinefili. L’ultima fatica del regista di Ridicule, Il marito della parrucchiera e Confidenze troppo intime, si affida a una narrazione classica, che segue con precisione il cronologico flusso degli eventi. Quanto mostrato non contiene alcun eccesso visivo o verbale e lo scabroso tema di fondo viene trattato con estrema sensibilità. Allo stesso tempo, Leconte si affida a una fotografia che ci restituisce immagini opacizzate da una patina luminosa come se fossero state recuperate in una preziosa cineteca, prima di essere affidate a un vecchio e rumoroso proiettore per pellicole. Ma questo Maigret sa coinvolgere anche l’appassionato dei generi, perché le inquadrature sono sempre sorprendenti, intriganti, perfettamente sovrapposte allo sguardo del protagonista.
La mancanza di centratura dell’immagine, tipica degli albori della settima arte, qui si manifesta a vantaggio della fedele riproduzione di ciò che accade nella vita reale. Così, entrato in una stanza sconosciuta, l’occhio dell’investigatore non si posa dove lo dovrebbe condurre la storia, ma su quanto si trova casualmente a portata di mano, salvo poi girarsi di scatto alla ricerca del particolare più importante, dell’indizio determinante. Maigret è anche un’arguta riflessione sui molteplici significati che si possono condensare all’interno dell’immagine cinematografica, poiché la ragazza che collabora con il commissario rappresenta anche la proiezione fisica di Louise e quella mentale della figlia perduta. Un abile gioco di specchi tra verità e finzione che coinvolgerà nella scena finale anche lo stesso protagonista. Intento a passeggiare per le vie di Parigi, lo vedremo evaporare dallo schermo, lasciandoci nel dubbio se tutto ciò sia realmente accaduto.

MAIGRET [Maigret et la jeune morte] di Patrice Leconte. Con Gérard Depardieu, Jade Labeste, Mélanie Bernier, Bertrand Poncet, Aurore Clément, André Wilms, Hervé Pierre Produzione: Scope Pictures; Distribuzione: Adler Entertainment; Francia, Belgio, 2022 Giallo, Thriller; Colore Durata: 1h 29min

 

Fonte: Toscana Oggi, edizione del 25/09/2022

 

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