“NULLA DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE” Una libera rilettura del grande romanzo pacifista che già nel 1930 dette origine a un bel film americano, all’epoca pure
premiato con l’Oscar
Di Marco Vanelli
E’ il 1927: Erich Maria Remarque a Berlino comincia a scrivere il suo romanzo più famoso, quello che dà il titolo e l’argomento a questo film. Lo scrive di getto, in sei settimane.
Uscirà due anni dopo e sarà un successo mondiale, ma anche il bersaglio dell’odio di tutti coloro che, in Germania, non avevano ancora digerito la sconfitta della guerra: anzi, non vedevano l’ora per una rivalsa sulla Francia e sul resto d’Europa. Il partito nazionalsocialista in testa, che infatti ne proibì la ristampa e fece bruciare le copie residue. Perché il romanzo racconta, attraverso il diario di un volontario diciannovenne, Paul Baümer, l’inganno in cui caddero tanti giovani che, come lui, furono spinti dai loro insegnanti ad affermare la grandezza teutonica attraverso la Grande Guerra. E quelle pagine ci consegnano la progressiva assuefazione all’atrocità; il ricorso alla disumanità (ma al contempo la nostalgia di ciò che è autenticamente umano); la consapevolezza che quell’esperienza infernale avrebbe reso perennemente estranei i giovani coinvolti rispetto ai loro padri: «Io sono giovane, ho vent’anni; ma della vita non conosco altro che la disperazione, la morte, il terrore, e la più insensata superficialità congiunta con un abisso di sofferenze. […]. Vedo i più acuti intelletti del mondo inventare armi e parole perché tutto questo si perfezioni e duri più a lungo. E con me lo vedono tutti gli altri della mia età, da questa parte e da quell’altra del fronte, in tutto il mondo; lo vede e lo vive la mia generazione. Che faranno i nostri padri, quando un giorno sorgeremo e andremo davanti a loro a chieder conto?».
Dopo quasi cento anni, queste riflessioni sono tristemente attuali. Se ne è reso conto il regista Edward Berger che ha ripreso il romanzo di Remarque e lo ha molto liberamente adattato per lo schermo, apportando dei tagli alla vicenda (mancano molti episodi noti), cambiando anche il finale (e di conseguenza rendendo incomprensibile il titolo), concentrando l’azione negli ultimi due anni di guerra e contestualizzandola a livello storico e politico, con le reticenze tedesche a firmare l’armistizio e la maramaldesca intransigenza francese che sarà causa della crisi politica e sociale della Germania nel decennio successivo, anticamera del nazismo.
Seguiamo, sì, le vicende di Paul e dei suoi compagni arruolati con lo stupido entusiasmo infuso loro dai professori di scuola, ma al contempo assistiamo alle trattative del generale Foch con il rappresentante tedesco Erzberger su un elegante treno dove ci si lamenta perché le madeleine non sono fresche. E intanto i soldati sono al gelo e muoiono a migliaia grazie alle nuove armi tecnologiche inaugurate in quella guerra: il gas, i lanciafiamme, i carrarmati, le granate. Il regista non ci risparmia nulla riguardo alla violenza, alla sofferenza, alla disperazione che le battaglie provocano, trasformando – grazie a un’efficace fotografia, premiata con l’Oscar – i soldati in morti viventi, dai colori innaturali dati dal fango, dal sangue, dalla polvere. La macchina da presa si muove agile nelle trincee e tra i combattenti rischiando, talvolta, la spettacolarizzazione dell’orrore. Dove invece l’intervento di Edward Berger risulta più efficace e universale è nei frequenti rimandi a una natura indifferente all’umana follia, o nel prologo che ci mostra una macchina da guerra precisa, oleata, che raccoglie dai cadaveri scarpe, armi e cappotti, per poi recuperarli, adeguatamente risistemati, e darli alle future reclute. Ecco, in quel freddo meccanismo di riciclo, dove i morti sono solo mucchi di cadaveri da smaltire e contano solo gli oggetti che sopravvivono, percepiamo la famosa «banalità del male» all’opera.
NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE (Im Westen nichts Neues)
Regia: Edward Berger; sceneggiatura: E. Berger, Ian Stokell, Lesley Paterson; fotografia (colore): James Friend; musica: Volker Bertelmann; scenografia: Christian M. Goldbeck, Ernestine Hipper; interpreti: Felix Kammerer, Albrecht Schuch, Daniel Brül, Moritz Klaus; origine: Germania 2022.
Fonte: Toscana Oggi, edizione del 02/04/2023