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AL FESTIVAL DI VENEZIA
I segreti di don Milani nel film ritrovato – Mario Lancisi

Il docu-film di Alessandro D’Alessandro, con le immagini girate dal padre negli anni ‘60. A Venezia l’unico filmato mai autorizzato dal priore. Al regista disse: «Faccia le riprese, ha superato l’esame» .
Dicembre 1965, Barbiana. Ciak si gira: don Milani e i suoi ragazzi sul set. Il docufilm Barbiana ‘65. La lezione di don Lorenzo del regista Alessandro D’Alessandro, prodotto da Felix Film, in collaborazione con l’istituto Luce Cinecittà e la fondazione don Milani, sarà presentato sabato prossimo al festival di Venezia.

Guardiamolo insieme in anteprima. Ecco don Milani davanti alla cinepresa che legge la Lettera a giudici e dopo aver letto il copione proposto dal regista gli chiede, un po’ preoccupato, se va bene così, se deve andare avanti. Eccolo sulla sua sedia a sdraio mentre legge il giornale (l’articolo riguarda la morte di un operaio sul lavoro). E poi la scena mentre celebra una messa finta solo per il film perché durante quella vera non ha mai consentito di essere ripreso da fotografi e macchine da presa. Poi la scena commovente che riprende il priore a passeggio con i ragazzi con al braccio Marcellino, il bambino ritardato che non parlava e che gli stava sempre avvinghiato. I ragazzi che trascinano un tronco d’albero e lo segano durante le ore dedicate al lavoro manuale. E il priore che spiega che a Barbiana essere bravi non è un merito ma un compito. Scorre la vita nella piccola scuola, scorre il film. Trentotto minuti di riprese inedite, alle quali si aggiungono quelle di Agostino Ammannati, fornite dalla fondazione don Milani. Intorno a queste immagini ruotano le testimonianze di Adele Corradi, l’insegnante che per alcuni anni ha aiutato il priore a far scuola ai ragazzi, di don Luigi Ciotti e dell’ex procuratore generale Beniamino Deidda.

Barbiana ‘65 è nato un po’ per caso. Tutto è cominciato nel dicembre del 1965 quando il cineasta Angelo D’Alessandro, il padre di Alessandro, l’autore del documentari, assieme all’operatore Giuseppe Piazza, salgono a Barbiana per un’inchiesta sull’obiezione di coscienza: pochi mesi prima don Milani aveva scritto una lettera polemica ai cappellani militari, era stato denunciato e stava aspettando il processo. D’Alessandro e il suo collaboratore si siedono in un angolo della scuola, in silenzio, senza fiatare mentre don Milani, ricorda Michele Gesualdi, continua a fare scuola come se i due ospiti non esistessero. L’attenzione del priore era solo per i ragazzi e la scuola era sacra.

D’Alessandro rimane colpito. I ragazzi iniziano a fare domande al regista sul suo lavoro. Domande anche urticanti, tipo quanto guadagnasse a fare i film, cosa c’era dietro le sue riprese, quali fossero le sue vere intenzioni. Un processo, come capitava di subire agli ospiti che salivano a Barbiana. «Lei è venuto qui e ha pensato più a confrontarsi coi ragazzi che alle sue riprese. Ha superato bene l’esame, se vuole può riprendere come scorre la vita della nostra scuola», gli dice il priore.

Ciak, si gira e i ragazzi esultano all’idea di fare gli attori. Il fascino del cinema. Don Milani, appena a Barbiana arrivò l’energia elettrica, oltre a preoccuparsi di comprare una lavatrice e di farsi regalare macchine per scrivere e calcolatrici elettriche, dotò la scuola di un proiettore 16 millimetri con cui analizzare con i ragazzi i film d’autore. Unico scontento Michele Gesualdi. Che accusa don Milani di incoerenza. «Proprio te che non hai mai accettato di essere ripreso e che ci hai sempre insegnato a diffidare dei giornalisti…», lo rimprovera. Don Milani gli dà ragione, ma si giustifica: «Lo faccio per voi. Per lasciarvi un ricordo filmato, mio insieme a voi nella vostra scuola». Il priore aveva i mesi contati per via della grave malattia che lo aveva colpito: morirà 18 mesi dopo, il 26 giugno 1967.

Le riprese di D’Alessandro, circa 40 minuti di filmato in bianco e nero, sono dunque il ricordo che il priore di Barbiana ha voluto lasciare dei suoi ragazzi e della scuola. Gran parte di questo materiale è rimasto però inutilizzato per mezzo secolo nei cassetti del regista e ritrovato dopo la sua morte dal figlio Alessandro, che lo ha restaurato e trasformato in un docufilm di un’ora che, dopo la passerella veneziana, è probabile venga trasmesso in tv.

Barbiana ‘65 per certi versi è una sorta di fotografia ricordo, un gesto di affetto e dolcezza del priore nei confronti dei suoi «figlioli», come li chiamava. Sul piano dei contenuti non aggiunge granché ma Barbiana ‘65 è importante per capire don Milani e la sua scuola attraverso il linguaggio degli sguardi, degli occhi, dei gesti e dell’ambiente. La proprietà linguistica di don Milani, la sua cultura, che lo rendono sicuro, rapido nella regia di una scuola, solo apparentemente democratica: in realtà in ogni momento maestro indiscusso e indiscutibile (anche nelle incoerenze, come quella evidenziata da Gesualdi). E poi l’ambiente per cui un conto è leggere che Barbiana era senza luce, senza strada, senza servizi sociali e tutt’altro effetto è vedere i muri fatiscenti della canonica, i poveri vestiti indossati dai ragazzi, i viottoli inzuppati di fango. Infine il sorriso aperto e felice di Marcellino, il bambino senza parola, irrecuperabile per la scuola del tempo e che don Milani elesse a figlio prediletto. L’irrecuperabile e il diverso lo ritenne uguale agli altri, talvolta persino migliore e gli parlava persino in inglese.

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