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amerikatasiAMERIKATSI

di Michael Goorjian
Genere: Drammatico. Origine: Armenia. Distribuzione: Cineclub
Internazionale. Interpreti: M. Goorjian, Hovik Keuchkerian, Nelli
Uvarova, Mikhail Trukhin, Narine Grigoryan; produzione: Patrick
Malkassian, Serj Tankian Vartan Barsoumian.

Non capita di frequente di entusiasmarsi per un film, ma questa volta si ha davvero l’impressione di trovarsi di fronte a un piccolo capolavoro, a un’opera che anche chi va poco al cinema dovrebbe vedere per i suoi valori artistici e tematici. Ci troviamo, tanto per dare un’idea, dalle parti della “Vita è bella” o di “Train de vie”: racconti che, con leggerezza e umorismo, sanno affrontare questioni drammatiche toccando al contempo i valori universali di umanità, riscatto, redenzione. Siamo in Armenia nel 1948: Charlie Bakhchinyan, l’americano del titolo, è un emigrato armeno sopravvissuto da bambino al genocidio operato dagli ottomani e che ora ha lasciato gli Stati Uniti per tornare alla terra d’origine, rispondendo all’appello di Stalin per ripopolare quel piccolo stato martoriato dalla storia e dai terremoti. Charlie, ingenuamente, crede di potersi sentire finalmente a casa, ma nel giro di poche ore si trova a fare i conti con l’ottusità sovietica, i pregiudizi ideologici, l’assurdità dell’apparato repressivo. Nonostante finisca in carcere e tutto sembri complottare contro di lui, anima candida e buona, non perde mai la fiducia e speranza di poter migliorare la sua situazione. Amerikatsi ci fa fare un salto alto: l’attenzione con cui Charlie osserva le dinamiche personali degli altri, fatte di paure, desideri, abbandoni e riconciliazioni non è mera curiosità, ma partecipazione profonda, compassione, amore. Un amore che rimanda, plasticamente, a quello di un Dio nascosto, umiliato, negletto (qual è il Dio cristiano) che si strugge perché le sue creature trovino la felicità, vivano in pienezza, riescano a cogliere i segnali di salvezza che si sforza di inviare pur senza interferire nelle loro esistenze. Charlie, come il personaggio immortale del vagabondo di Chaplin, ama senza pretendere di essere riamato, opera il bene perché crede nel Bene. Alla fine del racconto tutto si tiene: il legame con il passato rappresentato dal ricordo della nonna, la fiducia in un futuro fatto di accoglienza, condivisione, agape, con un sorriso che non si deve mai perdere nella vita e uno sguardo alle cicogne che attraversano il cielo armeno sullo sfondo dell’Ararat. Commuove Amerikatsi e commuove anche il tormento vissuto dal suo protagonista. Se poi tutto fosse un’illusione, come è il cinema, una favolistica illusione, sarebbe comunque una umanissima illusione.

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