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“GLI ORSI NON ESISTONO”, il cinema sì

recensione a cura di Marco Vanelli

Il sentiero verso il confine non è sicuro: ci sono gli orsi». In questo modo qualcuno cerca di spaventare e scoraggiare il regista Jafar Panahi (attualmente in carcere nel suo paese, l’Iran) che, nel racconto di questo film, si ritrova in un villaggio ai confini con la Turchia per giare a distanza, tramite collegamento web con la troupe, una nuova storia ambientata di là, oltre la frontiera. Come nella migliore tradizione della cinematografia persiana, e di Panahi in particolare, bastano questi pochi elementi per imbastire una storia avvincente e una riflessione morale sul cinema e sul suo impatto sulla realtà. Anche questa volta è sorprendente la naturalezza con cui il regista riesce a fare un complesso gioco di specchi dove finzione e verità si mescolano inestricabilmente al punto che non sappiamo più quanto ci sia di documentaristico e quanto di inventato nelle due vicende che procedono parallele: quella sul set in Turchia e quella che riguarda Panahi e la gente un po’ sospettosa del borgo sperduto che lo accoglie.
Il film che lui vorrebbe girare per interposta persona riguarda due sposi iraniani che sperano di poter emigrare in Francia dopo dieci anni di espatrio. Un lungo piano sequenza ci mostra la ripresa controllata da remoto in cui il marito dice a lei, in una caffetteria turca, che la raggiungerà non appena avrà i documenti. Ma qui l’attrice si ferma e si toglie la parruccadi scena per protestare che non partirà senza di lui. È l’attrice o il personaggio che dice questo? Entrambe, perché la storia raccontata dovrebbe riguardare proprio ciò che lei e lui stanno vivendo davvero: l’attesa per poter finalmente vivere insieme a Parigi.
Panahi, invece, intellettuale di città che si trova in libertà vigilata, indefesso realizzatore di film anche nelle condizioni più avverse (si pensi a Taxi Teheran, 2015, girato in un’auto), nella comunità rurale dove si trova ospitato non frena la sua curiosità antropologica e continua a scattare foto, palesemente o di nascosto, nonostante gli sia stato sconsigliato di farlo. Una di queste immortala due giovani sotto un albero, rivelando la loro intesa segreta: lei, forzatamente promessa a un altro, sta organizzando una fuga d’amore con lui. Nel villaggio si scatena una faida per quella foto, da cui potrebbero derivare conseguenze estreme. Al regista verrà chiesto di giurare sul Corano di non averla scattata; lui, in un certo qual modo, giura invece sul cinema. Di fatto giura il falso, ma il cinema è di per sé falsità, anche quando finge il più assoluto iperrealismo, come in questo caso. E così arriviamo al paradosso finale: Panahi personaggio esce doppiamente sconfitto da questa vicenda, quasi a sancire che un film non può cambiare la realtà; ma nel momento in cui afferma questo, al contempo ci offre l’ennesima dimostrazione della sua capacità narrativa, in grado di ingannarci facendoci scambiare il falso per il vero, l’inventato per il reale. E come regista ne esce vincitore. D’altra parte ci aveva avvertito sin da subito: Gli orsi non esistono, neanche quelli della macchina da presa.

GLI ORSI NON ESISTONO (T.O.: KHERS NIST) Regia, sceneggiatura e produzione: Jafar Panahi; fotografia (colore): Amin Jafari; montaggio: Amir Etminan; interpreti: J. Panahi, Vahid Mobaseri, Reza Heydari, Naser Hashemi; distribuzione: Academy Two; formato: 1,85:1;

 

Fonte: Toscana Oggi, edizione del 30/10/2022

 

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