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“UTAMA” L’agonia di un uomo, l’agonia di un pianeta

recensione a cura di Lorenzo Pierazzi

La carenza di risorse idriche è un problema ormai indifferibile. L’intero pianeta ha sempre più sete, sterminate regioni sono attraversate da distese di terra arida, i fiumi sono prosciugati, gli uomini allo stremo della sopportazione. Una situazione drammatica che è quasi completamente sparita dai mass media, soffocati dalle notizie sulle guerre e le pandemie. Un appello disperato ci proviene da Utama – Le terre dimenticate del regista Alejandro Loayza Grisi, novanta minuti di pellicola riarsa dal sole, dalla pioggia che non arriva mai e dalla rassegnazione di chi non ha niente da perdere.
Virginio e Sisa sono due anziani pastori quechua che vivono in una remota regione della Bolivia, isolati dal mondo e con le giornate scandite dal ritmo lento della natura e dalla ricerca dell’acqua. Sveglia al mattino presto, una frugale colazione, lui che porta al pascolo i lama, lei che dissoda un fazzoletto di terra, cena ancor più misera. Non sappiamo che vita hanno vissuto, da quanto tempo risiedano lassù, quali esperienze abbiano affrontato. Ci viene
mostrato semplicemente il loro qui e ora, segnato dall’inesorabile avanzare della vecchiaia, dalle forze che scemano, dalla malattia che incombe, dall’acqua che non c’è.
Un presente reso magnificamente attraverso campi lunghissimi, dove gli uomini e gli animali diventano minuscoli puntini, e attraverso primi piani simili a paesaggi umani solcati da rughe d’altri tempi e da occhi profondissimi e indagatori. Utama – Le terre dimenticate assomiglia ad un documentario piuttosto che ad una pellicola di finzione, e forte alza il grido di dolore affidandolo a due esseri umani schiacciati da un pianeta sempre più malato e arrabbiato per la mancanza di rispetto nei suoi confronti. La pellicola si regge sulle mirabili interpretazioni di José Calcina e Luisa Quispe rispettivamente lo scorbutico ma irreprensibile Virginio e la tenace e inossidabile Sisa, ma anche sulla presenza di Santos Choque, il nipote Clever che sale dalla città fino alla loro abitazione per salvarli e portarli dove potranno finalmente curarsi. I due anziani coniugi però non accettano di terminare la loro esistenza nell’in-civiltà urbana e, piuttosto che trasferirsi, preferiscono affrontare una doppia agonia (quella del pianeta e quella dell’uomo), ritenuta più dignitosa rispetto al tapparsi occhi e orecchie. Per tutto questo Utama – Le terre dimenticate è un film di una bellezza inquietante. Una bellezza che risiede nella fotografia di Bárbara Álvarez che ci restituisce lo splendore immortale dei paesaggi degli altipiani boliviani, la potenza della luce accecante del giorno che scalda e illumina senza ferire e soffocare. Una bellezza musicale, affidata all’Orquesta experimental de instrumentos nativos, che fonde strumenti andini e sistema musicale occidentale restituendo un senso di straniamento, di un lento allontanamento dalla propria utama, la propria casa. In un mondo dove tutto è essenziale e povero colpisce, al contrario, la frivolezza dei fiocchi fucsia che pendono dalle orecchie dei maestosi lama, quasi a simboleggiare la capacità (e l’ipocrisia) degli esseri di umani di volersi imbellettare anche in presenza di grandi sofferenze, riuscendo così a sopravvivere in qualsiasi situazione.
Perché, nonostante tutto, rimane sempre un filo di speranza. Infatti, mentre il ciclo della vita, tra la nascita e la morte, continua a compiersi, tuoni assordanti e nuvole gonfie d’acqua annunciano che le tanto agognate piogge stanno finalmente arrivando.

UTAMA – LE TERRE DIMENTICATE [Utama] di Alejandro Loayza Grisi. Con José Calcina, Luisa Quispe, Santos Choque, Candelaria Quispe, Placide Ali, Félix Ticona, René Pérez. Produzione: Alpha Violet, Alma Films; Distribuzione: Officine Ubu; Bolivia, Uruguay, Francia, 2022 Drammatico

 

Fonte: Toscana Oggi, edizione del 07/11/2022

 

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