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“GODLAND, nella terra di Dio” Una potente meditazione sul conflitto tra uomo e natura

Di Lorenzo Pierazzi

Ilanda, fine Ottocento. Il giovane prete danese Lucas riceve l’incarico di seguire la costruzione di una chiesa destinata alla comunità che ha colonizzato l’isola. Allo stesso tempo dovrà documentare, attraverso lo scatto di fotografie, gli usi e costumi della popolazione locale. Deciderà, quindi, di non sbarcare nell’approdo più vicino, ma ben lontano, in maniera da conoscere le zone interne più impervie e ostili.
Dal viaggio ne uscirà devastato nel corpo e nello spirito, tanto da allontanarsi dalla sua missione e dalle sue certezze. Questa è Godland – Nella terra di Dio, che Hlynur Pálmason ha realizzato ispirandosi a fotografie realmente ritrovate, sette immagini impresse, grazie alla tecnica del collodio, su una piccola lastra di vetro. La pellicola (nel formato 4:3, a simboleggiare il taglio delle riprese da diapositive, ma anche per accentuare il senso claustrofobico della narrazione) chiama in causa i grandi temi dell’esistenza (la fede, la natura, la morte) e li tratta con estremo rigore morale e stilistico. Senza, comunque, fornire risposte: anzi, lasciando lo spettatore nella certezza dell’incertezza, poiché tutto appare fermo e vacillante, accogliente e selvaggio, immortale e effimero. Nella vicenda giganteggia la figura di padre Lucas, un uomo irrimediabilmente indebolito nel fisico e nella mente. Messo a dura prova dalla lunga trasferta in terra islandese, non sarà più in grado di concentrarsi sulla preghiera tanto che, inaugurata la chiesa, i gemiti di un neonato e l’abbaiare di un cane lo costringeranno a interrompere lafunzione religiosa. Eppure, Lucas (Elliott Crosset Hove) tenterà fino all’ultimo istante di rimanere aggrappato a Dio, invocherà il suo aiuto, temendo di arrendersi e soccombere, ma una scivolata nel fango, nero come la pece, diventerà il simbolo della resa definitiva.
Godland – Nella terra di Dio è un film sulla mancanza di comunicazione tra coloni e colonizzati (che, naturalmente, parlano due lingue diverse), sulla mancanza di rispetto nei confronti della natura (fotografata con colori aspri e opachi), sulla mancanza di certezze per gli uomini che, una volta cessato di vivere, sono destinati a diventare polvere spazzata via dal vento. La pellicola ci restituisce, allo stesso tempo, tutta la forza e l’inviolabilità del paesaggio islandese, attraverso inquadrature rarefatte che spaziano dal bianco più gelido dei ghiacciai perenni al rosso soffocante delle eruzioni vulcaniche, senza dimenticare la seduzione e l’inquietudine che provocano le rapide dei fiumi e il misterioso velo che creano le nebbie di queste latitudini. Tra le scene più affascinanti, un posto di rilievo spetta allo sbarco di padre Lucas nella terra straniera, che rievoca lo smarrimento di Lezione di piano, così come il primissimo piano del suo volto, abbandonato sulla barella dopo una rovinosa caduta, svelato allo spettatore attraverso una prolungata rotazione della macchina da presa. La messa in scena di Pálmason, cupa e inquietante, fa tornare alla mente lo stile della filmografia scandinava, che tanto deve a Bergman, mentre il viaggio alla scoperta delle radici del senso della vita rievoca il Cuore di Tenebra di Joseph Conrad. E mentre la tecnica del timelapse, mostrandoci l’inarrestabile decomposizione delle carcasse degli animali, sembra ammonirci che è impossibile vincere la battaglia contro la natura, le fotografie riesumate da Pálmason ci ricordano che l’arte rappresenta sempre il mezzo più potente per avvicinare l’uomo all’eternità.

GODLAND – NELLA TERRA DI DIO [Vanskabte land] di Hlynur Pálmason. Con Elliott Crosset Hove, Ingvar Eggert Sigurdsson, Fridrik Fridriksson, Ísar Svan Gautason Produzione: Snowglobe Films, Join Motion Pictures; Distribuzione: Movies Inspired; Danimarca, Islanda, Francia, Svezia, 2022 Drammatico; Colore

 

Fonte: Toscana Oggi, edizione del 15/01/2023

 

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