In

ALLA MIA PICCOLA SAMA

di Waad Al-Khateab, Edward Watts

 

(For Sama) REGIA: Waad Al-Khateab, Edward Watts. MONTAGGIO: Chloe Lambourne, Simon McMahon. FOTOGRAFIA: Waad Al-Khateab (Formato: Panoramico/Colore).  MUSICA: Nainita Desai. PRODUZIONE: Channel 4 News, Channel 4, Frontline, ITN Productions, PBS Distribution, WGBH. DISTRIBUZIONE: Wanted Cinema. GENERE: Documentario. ORIGINE: Gran Bretagna, Siria. ANNO: 2020.  DURATA: 100’.

 

Aleppo, 2017. Sama ha quasi un anno di vita. I suoi occhi felici si fissano sugli occhi della madre, le sue braccia quasi inermi si arrampicano sulle spalle del padre. È nata ad Aleppo, durante l’assedio: suo padre Hamza è medico, sua madre Waad al-Kateab è giornalista. La stessa che ha diretto insieme a Edward Watts questo film (Alla mia piccola Sama), una “lettera d’amore” che è diventata ora un toccante documentario, vincitore di numerosi premi tra i quali l’EFA, l’Oscar Europeo e candidato al Premio Oscar come Miglior Documentario. Sama è la vita che dà sapore alle esistenze dei genitori in una città che è sotto assedio dal 2012. Un anno importante perché è l’anno in cui Waad al-Kateab si trasferisce per studiare Marketing all’Università. Waad filma tutto quello che vede: Bashar Al-Assad ha iniziato la sua politica oppressiva e gli universitari non vogliono rimanere fermi a osservare, a subire. Protestano, vogliono una società più libera e presto si scontrano con una polizia dai metodi autoritari e con un regime che diventa sempre più duro. Lo spazio per la ribellione diventa uno spazio non più libero e accessibile ai civili. Il presente, con la sua pesante verità, inizia il suo lento cammino di distruzione. Waad sta filmando tutto. Il mondo deve sapere quello che succede in Siria. Con una costruzione temporale mai lineare, ma pienamente funzionale alla realtà, la regista e protagonista inizia a raccontarsi. Durante le proteste conosce Hamza, un giovane medico che insieme alla sua equipe compie il suo difficile dovere quotidiano: “In 20 giorni – racconta Hamza – abbiamo effettuato 820 operazioni e sono arrivate oltre 6000 persone che avevano bisogno di essere salvate”. Hamza dovrebbe andare via, sposarsi con una donna che vive lontano da Aleppo, ma decide di restare. Sa che Waad è ormai diventata una persona importante nella sua vita. Il sì di Waad al matrimonio, l’arrivo di Sama, la decisione di rimanere ad Aleppo, nella città che dal 2012 non ha più strade, non ha più tetti, non ha più un palazzo senza rovine. Quel sì iniziale di Waad diventa racconto necessario e quotidiano per Sama. Le bombe che uccidono i civili, i corpi sepolti nelle fosse comuni, il fango che sporca le strade, le lacrime che solcano i visi: la macchina a mano e i droni nelle strade riprendono tutto. Le distanze si assottigliano e quel fumo, quel rumore assordante, quella paura smettono di essere personali e diventano collettive. Il futuro di Sama non può essere costruito senza la conoscenza del suo passato. Arriva un momento, poi, in cui l’uomo smette di essere uno spettatore e diviene una persona, un fratello, un amico. Non si possono chiudere gli occhi. Sama siamo tutti noi che non dobbiamo assistere e dimenticare. Soprattutto quando arriva quella donna in ospedale e una mano salda riesce a riprenderla: ha perso i sensi per una grave ferita e occorre estrarre il neonato che ha in grembo. Saranno pochi minuti, ma quelle immagini portano con sé tutta la crudeltà dell’uomo che stermina l’uomo e tutta la grandezza dell’uomo che salva la vita.

*Il film è un forte richiamo a meditare quanto sia grande l’abisso in cui l’uomo può cadere con la guerra e il suo male, ma è anche un poetico inno alla vita, perché per quanto grandi siano le distruzioni, nell’animo umano resta sempre qualcosa che lo spinge verso qualcosa di più alto e nobile. Merito notevole del film è quello di non uscire mai dalla realtà delle cose mostrate, ma di indicarci quanto sia grande l’amore che può unire le persone e come questo, nonostante tutto, superi il tempo.

 

Inizia a digitare e premi Enter per effettuare una ricerca