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“BLACK PANTHER, WAKANDA FOREVER ” Il Re è morto, viva il Re

Di Giacomo Mininni

Non è un segreto che i Marvel Studios avessero grandi piani per Black Panther, il supereroe re dell’immaginaria nazione africana di Wakanda che, interpretato da Chadwick Boseman, è diventato un simbolo pop di rivoluzione culturale. Il primo «Black Panther» era uscito durante le proteste del Black Lives Matter, con la rinascita delle manifestazioni per i diritti civili, e aveva avuto sull’immaginario collettivo statunitense (ma non solo) un impatto straordinario, riconosciuto perfino dall’Academy con la prima nomination agli Oscar per un film Marvel.
Chadwick Boseman, però, muore di cancro nel 2020, suscitando un sentito cordoglio sia tra i fan che tra i colleghi. Ryan Coogler, regista di «Black Panther» e amico personale di Boseman, sceglie di tornare dietro la macchina da presa col sequel «Wakanda Forever», trasformandolo in un affettuoso e sincero omaggio all’attore scomparso, quasi una terapia di gruppo per sé e per i veterani della serie.
Con Boseman muore fuori scena, andandosene quasi in punta di piedi, anche il suo personaggio Re T’Challa. Il Wakanda si trova così senza il suo più strenuo protettore, in balia di forze avverse che mirano al mitico metallo Vibranio custodito dal paese, e soprattutto delle armate sottomarine della perduta nazione di Talocan, guidate dal belligerante e invincibile Namor. Il film comincia in medias res, con un lutto in corso, e segue da vicino, con grande attenzione al percorso emotivo dei personaggi, i diversi modi di affrontare il lutto. Angela Bassett ruba la scena con la sua Regina Madre Ramonda, figura potente, dignitosissima, materna guida per la riottosa Shuri di Letitia Wright, il cui percorso è quello più difficile e accidentato, più pieno di rabbia e di rimpianti.
Coogler non rinuncia al simbolismo politico dei propri personaggi, e si lancia in un apologo contro ogni tipo di colonialismo, antico (i flashback con i conquistadores spagnoli) e nuovo (non è un caso che siano soldati francesi quelli che giocano sporco e vengono sbugiardati davanti alle Nazioni Unite). Brilla in questo senso la figura del nuovo antagonista, il Namor di Tenoch Huerta, reinventato per l’occasione, onde fuggire ogni similitudine con l’«Aquaman» della rivale DC, come sovrano di un regno maya sommerso.
Affascinante e carismatico, beffardo e insieme solenne, Namor è un radicale che affida la sopravvivenza del proprio popolo alla sfiducia, alla chiusura e alla violenza. Lui rappresenta una delle possibilità che si aprono di fronte a Shuri come nuova Pantera Nera: l’altra è invece proprio Ramonda, la saggezza che mitiga la sofferenza, la prudenza che non è mai paranoia, l’apertura che offre sempre aiuto sapendo però evitare le trappole di chi è in malafede.
Black Panther: Wakanda Forever è un film sul lutto, ma anche sulla crescita che questo comporta: crescita individuale, come quella di Shuri che deve affrontare la morte del fratello, e collettiva, quella del Wakanda che cerca un nuovo posto nel mondo una volta che i confini si sono aperti. Crescita, anche, di cast e troupe e del pubblico con loro, in un sentitissimo addio a Boseman che tocca più volte corde potentemente emotive senza scadere mai nel patetico.
Riuscire a realizzare un film così personale all’interno di un genere prodotto su scala industriale secondo un modello sempre più standardizzato è impresa non da poco, ma Ryan Coogler centra bene il bersaglio.

BLACK PANTHER: WAKANDA FOREVER di Ryan Coogler. Con Letitia Wright, Tenoch Huerta, Angela Bassett, Danai Gurira. USA, 2022. Fantastico.

 

Fonte: Toscana Oggi, edizione del 04/12/2022

 

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