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“TORI ELOKITA ” Un inno all’amicizia

Di Marco Vanelli

Il nostro film racconta la storia di un’amicizia, di una bella e intensa amicizia, non di un’amicizia tradita, ma di un’amicizia che non viene mai meno»: con queste parole i fratelli Dardenne presentano la loro ultima fatica, incentrata su un sentimento forte e positivo, l’amicizia, tanto più intenso quanto sono numerosi e cattivi gli esseri che lo contrastano. Di fatto anche in questo caso ci troviamo di fronte a una parabola che vede schierati il bene e il male: un bene fatto di attaccamento fraterno tra Tori, un bambino emigrato in Belgio dal Benin, e Lokita, un’adolescente senza documenti proveniente dal Camerun; un male che invece ha il volto della nostra società occidentale dove tutto ha un prezzo, comprese la libertà e l’uguaglianza. Ma non la fraternità: quella è più forte della morte e nemmeno gli sforzi più diabolici riescono a dividerla.
Tori e Lokita si sono conosciuti durante il viaggio in mare che li ha portati in Sicilia; da lì – dove hanno avuto una prima accoglienza che ha permesso loro di mantenere viva un po’ di innocenza attraverso la celebre canzone-filastrocca Alla fiera dell’Est – sono poi approdati in Belgio, paese di fredda burocrazia, di indifferente edonismo, di ordinaria malvagità. La mutua cura che dimostrano, la complicità che li lega, il senso di famiglia che li accomuna vanno oltre tutti gli ostacoli che incontrano – e sono tanti, anche i più infami. Ma loro ne escono puliti perché sanno volersi bene, sanno colmare reciprocamente i vuoti affettivi, esistenziali e sociali che portano con sé. La ninna nanna che si cantano, alternandosi nel ruolo genitoriale fino all’ultimo, evidenzia come prima che essere dei casi sociali ognuno di loro è un essere umano, con tutti i bisogni di calore, contatto, prossimità immutabili a ogni latitudine. Quando, a un dato punto, vengono divisi a causa di traffici disumani, Lokita, costretta a lavorare da sola in una specie di prigione, si mette a mangiare sedendosi accanto al telefono su cui ha salvato la foto di Tori, così da sentirlo vicino nell’inferno dove è finita. E lui, novello Orfeo, la va a cercare coraggiosamente in quegli anfratti bui, a rischio della propria vita, per testimoniarle la speranza di riuscire a riscattarsi da quei vincoli impietosi.
La narrazione si basa, come al solito per i due registi, sull’essenzialità dei fatti, con la macchina da presa che pedina i personaggi, il montaggio ridotto all’osso, senza climax, senza musica. È un cinema «ontologico», dove cose e persone sono se stesse, in tutta la loro valenza oggettuale, senza sovrastrutture narrative o spettacolari. Detto questo, va anche riconosciuto che purtroppo lo sguardo dei Dardenne da qualche anno si è un po’ appannato, perdendo quella limpidità che li ha portati a realizzare, a parere di chi scrive, una serie di capolavori assoluti, da La promesse (1996) a Il ragazzo con la bicicletta (2011), mentre i loro quattro ultimi titoli sono decisamente sotto tono. In questo caso la sceneggiatura scricchiola di verosimiglianza in più punti e la cosa è tanto più fastidiosa considerando il realismo totale del racconto. E pure i dialoghi peccano spesso di didascalismo, perdendo di naturalezza per colmare dei vuoti narrativi e per far capire allo spettatore ciò che non sa. Anche il ricorso, per la prima volta, al formato scope non aggiunge nulla all’asciuttezza della fotografia, ma le fa perdere, semmai, la concentrazione sui volti che restano il paesaggio più misterioso da esplorare. Comunque si tratta pur sempre di una lezione filmica di umanità da cui abbiamo qualcosa da imparare.

TORI E LOKITA
Regia e sceneggiatura: Jean-Pierre e Luc Dardenne; fotografia (colore): Benoit Dervaux; montaggio: Marie-Hélène Dozo; costumi: Dorothée Guiraud; interpreti: Pablo Schils, Joely Mbundu, Alban Ukaj, Marc Zinga; produzione: Les Films du Fleuve; distribuzione: Lucky Red; formato: 2,35:1; origine: Belgio; 2022; durata: 88 min.

 

Fonte: Toscana Oggi, edizione del 011/12/2022

 

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